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A fine novembre è arrivato il “visto si stampi” dell’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom), che mette in chiaro anche in Italia le regole europee sul rapporto tra piattaforme di ecommerce o di intermediazione e gli utenti commerciali. Parliamo del regolamento comunitario 1150 del 2019, detto in gergo tecnico P2B. Platform to business. Perché si occupa di mettere dei paletti nel rapporto tra le grandi piattaforme che fanno da motori di ricerca, come Google, o intermediari negli affari online, come Amazon per l’ecommerce, Booking per l’accoglienza o Tripadvisor per i ristoranti, e le aziende che le usano. Due anni fa, con il regolamento 1150, la Commissione europea ha voluto mettere nero su bianco una serie di obblighi per i giganti del web: trasparenza sui meccanismi di ranking, sull’oscuramento di un profilo, sui vantaggi di una sponsorizzazione.
E ora anche l’Agcom ha recepito le regole. Nella delibera dell’autorità si prescrive alle piattaforme di rendere ben reperibili, chiari e trasparenti i termini e le condizioni dei propri contratti. Anche per chi non è ancora iscritto al servizio, ma si sta interessando. Ogni modifica deve essere annunciata con almeno quindici giorni di anticipo, se non di più in caso, in caso di cambiamenti radicali e complessi.
Le regole
La Commissione vuole che le piattaforme mettano in chiaro preventivamente i motivi che le spingono a sospendere un account. E a mettere nero su bianco le ragioni di un blocco, quando lo effettuano. I dati, frutto succulento che fa gola anche alle aziende per decrittare tendenze o capire come stanno andando i propri prodotti online, devono essere condivisi dai big, che finora ne avevano fatto un bene proprio. Così come i parametri del ranking, la gatta da pelare per chi vende merce o servizi online. Perché basta scivolare di un gradino nella classifica per sparire dai radar dei potenziali clienti. La Commissione ha individuato 101 parametri che possono influenzare il ranking, chiedendo alle piattaforme di rendere esplicite le variabili che adoperano e chiarirne i pesi. E se basta comprare un po’ di pubblicità per avere un posto sotto i riflettori, va dichiarato.
Infine c’è il capitolo reclami. Che le piattaforme devono gestire internamente, istituendo uno sportello accessibile ed efficiente. Se non basta, occorre passare dalla mediazione online prima di arrivare in tribunale. Proprio alle piattaforme il regolamento impone di trovare almeno due partner per gestire la mediazione. È inoltre previsto un tavolo di confronto per applicare il regolamento.
Accordi verticali
Un’altra mossa dell’Europa riguarda la regolamentazione degli accordi verticali. La Commissione ha aggiornato le sue norme sulle intese tra aziende che si trovano a diversi livelli di una catena di produzione o di distribuzione. Il nuovo regime, che aggiorna il precedente datato 2010, resterà in vigore fino al 2034 e fino al primo giugno dell’anno prossimo prevede una fase di transizione per consentire alle imprese di aggiornare i loro accordi.
“Siamo in una fase nuova, rispetto al contesto precedente, caratterizzata da un ecosistema digitale – dice l’avvocato Domenico Gullo, dello studio legale Dla Piper -. Si parte dall’assunto dell’esistenza di una distribuzione duale, online e offline”. Per questo si prevedono regole specifiche per gli intermediari online, si ampliano gli obblighi di non concorrenza e si distinguono forme di vendite attive e passive. “Il tentativo è quello di creare un sistema più equilibrato – prosegue Gullo -. Si introduce anche il tema dell’attenzione alla sostenibilità“.