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Roberto Cingolani, all’epoca ministro per la Transizione ecologica, aveva difeso la norma di Roma. Quella europea, aveva detto, “è una direttiva assurda, per la quale va bene solo la plastica che si ricicla. L’Europa ha dato una definizione di plastica stranissima: solo quella riciclabile. Tutte le altre, anche se sono biodegradabili o sono additivate di qualcosa, non vanno bene. La nostra comunità scientifica ha una leadership a livello mondiale sullo sviluppo di materiali biodegradabili, ma in questo momento non sono utilizzabili dall’industria, perché c’è una direttiva europea nuova e assurda”, aveva chiosato il fisico prestato alla politica. Il non allineamento potrebbe costare a Roma una procedura di infrazione, dopo il parere circostanziato (un passo preliminare) già recapitato dalla Commissione alla fine del 2021.
La filiera della plastica
Il problema è che l’Italia è tra i leader continentali nella produzione di plastica, con una filiera che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone e un giro di affari pre-Covid da 30 miliardi di euro. Molte delle 10mila aziende del settore si trovano al Nord, con quattro regioni (Lombardia, Veneto, Emilia- Romagna e Piemonte) che assommano il 70% della produzione italiana. Le industrie che producono macchinari per l’imballaggio sono concentrate nella “packaging valley” tra Piacenza e Rimini, che dà lavoro a 20mila addetti. Per non parlare dell’indotto chimico.
Comprensibili i timori di uno dei settori industriali più forti a livello nazionale. Possibile ignorarli? “No, certamente – commenta a Wired Giuseppe Ungherese, responsabile della campagne inquinamento di Greenpeace Italia -. Ma la politica deve assolvere al proprio compito governando la transizione, accompagnando il settore industriale e creando le condizioni perché questo subisca meno contraccolpi possibile”. Un esempio viene dall’oil and gas, in cui il terremoto ambientalista degli ultimi anni ha portato sempre più aziende a pensare al futuro in termini sostenibili. Se la genovese Erg, storicamente attiva negli idrocarburi, si è concentrata totalmente sulle rinnovabili, il colosso del cane a sei zampe Eni sta allargando lo sguardo ad altri business, come quello delle auto elettriche.
Ancora troppa plastica
Tornando ai tappi, un gruppo di aziende del settore, tra cui Coca-Cola, Danone, Nestlè e Pepsi aveva provato a bloccare la direttiva nel 2018, probabilmente per non andare incontro a un aumento dei costi legati a cambiamenti del ciclo produttivo. Ma di fronte all’irremovibilità di Bruxelles hanno ceduto. “Anche perché si tratta del classico compitino – riprende Ungherese -. Le grosse società continuano a emettere in mercato grandi quantità di plastica, e ci costringono a comprarla. Coca-Cola, per esempio, ne porta sul mercato globale 3 milioni di tonnellate l’anno, che fanno oltre 120 miliardi di bottiglie: se messe in fila coprirebbero per più di sessanta volte la distanza tra la Terra e la Luna”. Insomma, dice Ungherese, “piuttosto che focalizzarsi sulla questione dei tappi bisognerebbe guardare al resto”.