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In America Tulsa King, serie prodotta da Mtv Entertainment Studios e 101 Studios dal 25 dicembre su Paramount+, – ha raggiunto la metà della stagione (è già stata rinnovata per una seconda) e ha già conquistato il pubblico. Ha il gusto retrò e familiare di due generi intramontabili tipicamente Made in Usa: il gangster movie e il western. Intramontabile è anche Sylvester Stallone, che in questa serie incentrata su un mafioso attempato che decide di diventare il boss di una sperduta cittadina dell’Oklahoma, fa dichiarare candidamente dal suo personaggio di avere abbondantemente superato la settantina e di averne trascorso un quarto dietro le sbarre. È proprio nella cella di una prigione che si apre il primo (di dieci) episodio di Tulsa King: Dwight Manfredi, criminale onorevole, ha vissuto rinchiuso un periodo infinito perché non ha fatto la spia sul suo capo, l’adorato e ormai in fin di vita Pete. Alla sua liberazione, finirà “esiliato” nella provinciale Tulsa, dove i cavalli passeggiano in strada e gli outsider si sballano con l’erba prodotta dai nativi americani della vicina riserva o col gas esilarante venduto alle fiere locali.
Il creatore di Tulsa King Taylor Sheridan, attore texano che i più conosceranno per Sons of Anarchy e Veronica Mars, è anche l’autore di Sicario, Yellowstone e Hell or High Water, e nutre una passione genuina per il western. Per raccontare la storia del vecchio gangster italoamericano sposta l’azione dalla metropolitana New York, luogo prediletto del film di mafia statunitensi, al luoghi familiari delle storie di cowboy. Lo sceneggiatore di Tulsa King, d’altro canto, è quel Terence Winter nominato all’Oscar per Wolf of Wall Street di Scorsese, anche produttore di Boardwalk Empire e sceneggiatore/produttore esecutivo di I Soprano. L’opera scaturita da queste due menti e passioni è uno strano animale: una storia di mafia in salsa western. Non che non si fosse già fatto in tv – il nostro esempio preferito è il Justified di Graham Yost col Raylan Givens di Elmore Leonard – ma è bene saperlo, perché lo show ha un target piuttosto preciso.