martedì, Settembre 26, 2023

La morte lucida: quando il cervello continua a viaggiare

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C’erano già studi a dimostrarlo, come quello condotto su cervelli suini dai ricercatori dell’Università di Yale e pubblicato sulla rivista Nature nel marzo del 2019. In questo caso, gli studiosi erano riusciti a riattivare le funzioni cerebrali del cervello animale a 4 ore di distanza dalla morte iniettando un fluido ricco di ossigeno.

Lo studio della NYU ora pone le basi per sostenere che appena il cuore smette di battere, non solo il cervello non cesserebbe di funzionare immediatamente, ma le funzioni cerebrali sarebbero addirittura potenziate, tanto da poter dar luogo a un’esperienza umana irripetibile. E la prova starebbe nell’elettroencefalografia dei soggetti dello studio.

Nei pazienti in stato comatoso è stata rilevata un’attività cerebrale intensa 

Sottoponendo all’elettroencefalogramma (esame che registra l’attività elettrica cerebrale, riproducendola su uno schermo sotto forma di una serie di onde) i pazienti durante l’arresto cardiaco, il Dottor Parnia e il suo team hanno individuato dei picchi di attività cerebrale. Questi picchi includono le onde cerebrali Gamma, Delta, Theta Alpha e Beta, che normalmente si registrano in un individuo in stato di veglia nel corso di un’intensa attività mentale  –ad esempio, durante lo svolgimento di calcoli.

Queste onde farebbero escludere che l’esperienza della morte lucida, qualunque le sembianze, sia una mera allucinazione, un’illusione o un’esperienza simile a quella indotta da droghe psichedeliche. 

Parnia parla di “disinibizione”: nel momento in cui si prepara alla morte, il cervello allenta i freni inibitori permettendo un accesso inedito alle profondità inesplorate della coscienza. E questo potrebbe giustificare, ad esempio, come una persona sulla soglia della morte possa rievocare la propria infanzia e ricordi perduti, possa vedere a occhi chiusi e percepire ciò che normalmente non sarebbe in grado di percepire. 

Ci passa davvero tutta la vita davanti agli occhi?

Molti raccontano di aver vissuto in prima persona la gioia e il dolore causato agli altri, quasi come se alla morte ci fosse un giudizio non universale, ma autoindotto. Quasi tutti, dicono di essersi distaccati dal proprio corpo, che osservavano dall’alto, circondato da medici e infermieri durante la rianimazione.

Mi è passata tutta la vita davanti, nel dettaglio. All’inizio è stato tutto molto veloce, ma poi altri momenti li ho rivissuti più lentamente. Ho rivisto tutto, e tutti quelli a cui ho fatto del bene e del male”, narra un ex-paziente. 

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