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Le nuvole si formano naturalmente quando l’acqua si condensa intorno ai granelli di polvere. Ma se si carica una determinata area con ulteriori aerosol, le goccioline finiscono per essere più numerose, ma anche più piccole. I droplet di dimensioni minori sono più luminosi e rendono le nuvole più bianche, facendo sì che respingano nello spazio una maggiore quantità di energia solare.
Studiare questo effetto a livello globale è complicato. Per prima cosa, dice Watson-Parris, è difficile determinare in che misura le particelle di combustibile fossile abbiano influenzato la formazione di una determinata nube. Inoltre, non ci sono dati storici con cui confrontare le misurazioni moderne. Non conosciamo le dinamiche delle nuvole prima della rivoluzione industriale, quando i combustibili fossili erano ancora in gran parte rinchiusi nel sottosuolo.
Sistemi complessi
Inoltre, l’atmosfera è un sistema tridimensionale straordinariamente intricato, che si estende per chilometri nel cielo. Le temperature, l’umidità e i venti sono in costante movimento. Anche gli aerosol antropogenici sono a loro volta molto complicati, con dimensioni e composizioni chimiche variabili.
Nonostante siano in grado di simulare il modo in cui queste particelle interagiscono con le nuvole, i modelli sono per forza di cose una semplificazione della realtà: anche i più potenti supercomputer non hanno modo di tenere conto di tale complessità. Sarebbe più facile produrre modelli di una porzione di cielo più piccola e isolata, l’atmosfera – che è un enorme insieme di sistemi interagenti – non funziona così. “Ecco perché c’è così tanta incertezza – racconta lo scienziato della terra Hailong Wang, che modella l’influenza degli aerosol nell’atmosfera per il Pacific Northwest National Laboratory –. Diversi modelli concordano su alcuni aspetti, ma alla fine restituiscono uno scarto molto ampio nelle previsioni su come la temperatura risponderà ai cambiamenti degli aerosol”.
Le incognite sono troppe, ed è per questo che ricercatori come Watson-Parris prendono in considerazione una serie di risultati diversi. Più dati atmosferici avremo a disposizione, dicono i ricercatori, più i supercomputer permetteranno di eseguire simulazioni più complicate avvicinandosi a numeri concreti.
Se da una parte può essere demoralizzante, per Watson-Parris questa incertezza è un motivo in più per decarbonizzare in modo aggressivo. Se trovassimo metodi più efficaci per eliminare i particolati dall’aria ma continuassimo a bruciare i combustibili che rilasciano anidride carbonica e metano riscaldando il pianeta, aumenteremmo le temperature eliminando i piccoli ombrelloni atmosferici che compensano parte di quel calore. E questo, dice Watson-Parris, sarebbe “uno smacco doppio“.