sabato, Giugno 10, 2023

Film e serie tv, i lavori sono sempre più precari

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Chi lavora dietro tutte le serie tv, i film, le clip musicali e gli spot pubblicitari? Le nostre giornate sono sempre più piene di questi prodotti video e tutto il settore dell’audiovisivo è in crescita: dalle piattaforme streaming al pubblico italiano dietro lo schermo, così come gli impiegati di ogni giorno dietro le quinte. Proprio questi ultimi però – ovvero tutti coloro lavorano nei set, dai cameraman ai tecnici dell’audio e del sonoro, fino agli autori, attori e sceneggiatori – non possono sempre dirsi soddisfatti. Anzi, tra contratti inapplicati e paghe al ribasso, cresce il numero di freelance precari.

A testimoniarlo è la ricerca Dietro le quinte, Indagine sul lavoro autonomo nell’audiovisivo e nell’editoria libraria, a cura di Sergio Bologna, Anna Soru, Mattia Cavani e Silvia Gola, realizzata per Acta, associazione che si occupa dei diritti e dei mezzi del lavoro autonomo. La storia del mondo dell’audiovisivo è, innanzitutto, quella di un settore in profondo cambiamento, che negli ultimi 10-15 anni ha affrontato il completo passaggio dagli strumenti analogici a quelli digitali. Le professioni sono cambiate, ne sono sorte di nuove, ci sono meno barriere per iniziare il lavoro da giovani, con strumenti più facili da usare e metodi più veloci, più economici. 

I lavoratori dello spettacolo 

Per ogni prodotto culturale video ci sono decine di lavoratori coinvolti, dalle maestranze (i tecnici del set, dell’audio, del sonoro e delle luci come dei costumi e della scena) ai lavoratori cognitivi (autori, attori, sceneggiatori, doppiatori, sottotitolatori), che godono di diversi inquadramenti professionali. Sono però tutti lavoratori dello spettacolo per legge. E in quanto tali, possono iscriversi al Fpls – Fondo pensione lavoratori spettacolo (ex Enpals, confluito in Inps dal 2011), che garantisce tutele nell’accesso al welfare, come pensione, maternità, malattia e disoccupazione. Ma questo non sempre succede: dalle interviste ai lavoratori condotte da Acta (più di 50) emergono sempre più difficoltà a trovare contratti firmati, paghe chiare e definite – in diminuzione invece anche del 50% –, proporzionalità delle retribuzioni alle attività svolte, continuità di lavoro.

I contratti, quando ci sono, sono tanti e diversificati: i principali sono sette, ognuno con dieci livelli di retribuzione (dai circa 1.100 euro al mese a poco più di 2.200). Soprattutto, i contratti collettivi esistenti definiscono il numero di giornate minime per ricevere l’indennità – tanto più necessaria quando non è assicurata la continuità di lavoro – con obblighi di certificazione da parte del datore di lavoro, e le diarie per le trasferte. Ma dalle interviste emerge che il numero elevato di diversi contratti collettivi non aiuta la comprensione e la certezza del diritto e molti lavoratori (il 34%) ammettono che non tutte le attività svolte vengono effettivamente coinvolte nel contratto, si crea continuamente conflitto sulle giornate minime accertate per le indennità, vi è un abuso di contratti a termine. 

I lavoratori autonomi

Per il lavoro autoriale cresce il lavoro autonomo. Secondo la ricerca, pur di lavorare, aumenta nel settore il numero di lavoratori disposti ad accettare paghe al ribasso, anche senza la firma di un contratto. In questo modo si realizza, nelle parole di  Acta, una vera e propria “fuga dall’ex Enpals”. Il primo effetto è che la quota contributiva da versare, in questo modo, ricade quasi esclusivamente sul lavoratore. Per non ricadere sotto l’ombrello dell’ex Enpals, infatti, basta aderire a una cassa previdenziale diversa, come spesso accade agli iscritti alla Cassa artigiana (sufficiente il possesso di una cinepresa per far sì che un videomaker diventi “ditta individuale”): il lavoratore con partita Iva viene trattato come impresa e a lui subappaltato il lavoro. Oppure, non di rado succede che il lavoro venga affidato a service esterni o agenzie di produzione, che a loro volta incaricano professionisti autonomi, o a persone fisiche o associazioni. Sono frequenti in questo senso anche le produzioni di contenuti social, che scontano però una scarsa regolamentazione in fatto di contratti. 

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