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All’inizio dello scorso anno il governo del Bangladesh ha iniziato a valutare un’offerta arrivata da una società con sede in Cina, di cui non ha rivelato il nome, per la costruzione nel golfo del Bengala di una smart city dotata di infrastrutture alimentate dall’intelligenza artificiale (Ai). Anche se i lavori per non sono ancora iniziati, la nuova metropoli high-tech potrebbe sfruttare un software di riconoscimento facciale in grado di utilizzare le telecamere pubbliche per identificare le persone scomparse o rintracciare i criminali in mezzo alla folla, un strumento che è già in uso in molte città cinesi.
Il progetto rappresenta una delle iniziative che fanno della Cina il leader mondiale nell’esportazione della tecnologia di riconoscimento facciale, secondo un nuovo studio condotto da ricercatori di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology (Mit) e pubblicato la scorsa settimana dal think tank Brookings Institution.
Lo studio Mit/Harvard
L’analisi rileva che le aziende cinesi sono le prime al mondo per esportazioni di strumenti di riconoscimento facciale, in virtù di 201 accordi di export, seguite dalle aziende statunitensi con 128 accordi. La Cina è in testa anche nel settore dell’Ai più in generale, con 250 accordi di esportazione su un totale di 1636 verso 136 paesi, davanti agli Stati Uniti, con 215 accordi.
Il rapporto sostiene che queste esportazioni potrebbero consentire ad altri governi di incrementare forme di sorveglianza potenzialmente lesive dei diritti umani dei cittadini: “Il fatto che la Cina stia esportando verso questi paesi potrebbe farli diventare più autocratici, quando in realtà avrebbero la possibilità di diventare più democratici“, dichiara Martin Beraja, un economista del Mit che ha partecipato all’analisi e che si occupa del rapporto tra nuove tecnologie, come l’Ai, politiche governative e macroeconomia.
La tecnologia di riconoscimento facciale ha numerose applicazioni pratiche, come lo sblocco degli smartphone, l’autenticazione all’interno delle app e la ricerca dei post degli amici sui social media. Per la loro analisi i ricercatori del Mit e di Harvard si sono concentrati sugli accordi che coinvolgono la tecnologia rivolta alle smart city, che spesso si affida al riconoscimento facciale per rendere più efficace la video-sorveglianza. La ricerca ha utilizzato le informazioni sui progetti di sorveglianza globale del Carnegie Endowment for International Peace e i dati raccolti dalle aziende cinesi di Ai.
Le misure degli Stati Uniti per contenere la Cina
Negli ultimi anni diversi membri del Congresso e presidenti statunitensi hanno espresso preoccupazione per la possibilità che la Cina guadagni un vantaggio sugli Stati Uniti nel settore dell’Ai. Ora il rapporto del Mit e di Harvard sembra offrire prove concrete su come questo cambiamento si sia in realtà già materializzato in un campo specifico.