mercoledì, Marzo 22, 2023

Come saranno gli aerei del futuro

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Filippo Tommaso Marinetti, il padre del futurismo, aveva un’immaginazione senza fili che, poco più di un secolo fa, lo spingeva a librarsi impetuoso: “Siccome la velocità aerea ha moltiplicato la nostra conoscenza del mondo, la percezione diventa sempre più naturale per l’uomo”. E poco dopo il primo conflitto mondiale Alessandro Marchetti, geniale ingegnere di Cori, Lazio, arrivava a creare un incredibile idrovolante a doppio scafo che è tutt’oggi considerato un prodigio tecnologico e che rivoluzionò il modo di intendere le distanze: si poterono così fare traversate oceaniche che fino a dieci anni prima erano considerate possibili solo in nave. Il futuro dell’aviazione civile, un secolo dopo, è apparentemente congelato. Da decenni il tempo necessario per volare da Roma a New York è sempre lo stesso, circa nove ore, a seconda della stagione e della direzione del jet stream, e anche la velocità degli aerei di linea è rimasta fissa intorno ai 900 km/h, poco sotto quella del suono.

Nuovi carburanti

Eppure negli ultimi anni qualcosa si è mosso, sulla spinta dei regolatori del mercato – entro il 2050, le emissioni dovranno essere ridotte di almeno il 50 per cento rispetto ai livelli del 2005 – e dei consumatori. In Svezia, sulla scia delle proteste di Greta Thunberg, si è addirittura affermato il termine “flygskam”, vergogna del volo, e i risultati cominciano a vedersi. «Il grande gioco nel futuro dell’aviazione adesso lo fanno i Saf (Sustainable Aviation Fuel), i carburanti a basso impatto», dice Andrea Giuricin, docente di Economia dei trasporti all’Università di Milano Bicocca e visiting professor alla China Academy Railway Science. «In Europa abbiamo fissato obiettivi molto alti: entro il 2030, il 10 per cento del carburante in media dovrà essere Saf». Non ci sono problemi tecnici, ma di approvvigionamento sì: gli aerei di Airbus, per esempio, possono già volare con una miscela al 50% di cherosene e Saf. Ma a mancare sono «i volumi di Saf, molto caro da produrre. Considerando che il 30-40 per cento del costo complessivo di una compagnia aerea, cioè la prima voce, è il carburante, un prezzo più alto ha un impatto proporzionale», conclude Giuricin. Mancano stime ufficiali, e dipende dai contratti e dai volumi di produzione, ma il Saf può arrivare a costare quattro o cinque volte il normale cherosene aeronautico. Ecco perché diverse compagnie sono in prima fila nello sviluppo di nuove soluzioni, come avviene per il progetto Speedbird, creato l’anno scorso da tre aziende, tra cui British Airways, con l’obiettivo di produrre 102 milioni di litri di Saf all’anno a partire da rifiuti agricoli e di legno: un decimo del carburante della compagnia entro la fine del decennio. Ma anche Air France-Klm ha annunciato accordi di produzione.

Nuovi motori

Il biocarburante, però, è solo è una soluzione-tampone, perché i cambiamenti devono riguardare il funzionamento dei motori, prima ancora che la forma degli aerei e i materiali di cui sono fatti. Lo scenario più interessante è attualmente la propulsione ibrida, sul modello della Formula 1: un motore più piccolo, che richiede meno carburante perché ha lo spunto del decollo grazie all’aiuto della parte elettrica. Ma anche il modello ibrido elettrico-idrogeno: ZeroAvia, per esempio, ha firmato un accordo con Ags Airports, con sede nel Regno Unito, per lo sviluppo di un’infrastruttura a idrogeno e il lancio di rotte a emissioni zero. Il culmine sarà la dimostrazione di volo con il motore ibrido elettrico-idrogeno ZA600 da 600 kW, che verrà certificato entro il 2025. L’alternativa è il motore a solo idrogeno liquido, che è più leggero del cherosene ma ha tre volte il potere detonante. Tuttavia, richiede più spazio nei serbatoi ed è molto difficile da gestire in sicurezza. Potrebbe essere utile attivare una sinergia con il settore automobilistico, che sta investendo nei sistemi di stoccaggio e distribuzione di idrogeno liquido per le auto, in Giappone ma anche negli Stati Uniti e in Europa. «Va ricordato che l’idrogeno non è tutto uguale: quello verde, prodotto usando energia da fonti rinnovabili, costa molto di più», aggiunge Giuricin. «Sono indispensabili gli incentivi dei governi, come è stato fatto per il solare, per riuscire a produrre Saf e idrogeno in quantità». Un’altra strada potrebbe essere cambiare la forma dei motori. Sempre turboventola ma con le pale del rotore esposte, come avviene negli open fan, che permettono di risparmiare carburante perché molto più efficienti e, usando pale a forma di scimitarra esposte fuori dalla calotta del motore, permettono di ridurre rumore e impatto ambientale. «In passato, quando abbiamo lavorato ai motori a ventola aperta, è stato in risposta all’aumento dei prezzi del carburante», racconta Chris Lorence, ingegnere capo di Ge Aviation. «Il loro fondamento tecnologico deriva dal nostro lavoro negli anni Settanta con la Nasa. Ora siamo a un punto in cui non è il prezzo del carburante a guidare la discussione, ma la riduzione di CO2».

E i motori elettrici? «Il loro limite sono le batterie, che costano moltissimo e sono molto pesanti, con poca densità di carica», spiega Giuricin. «Dal punto di vista tecnico, ci vorranno decenni prima di avere aerei di linea elettrici». Un problema ulteriore è che le batterie, piene o vuote, hanno sempre lo stesso peso, mentre un aereo a carburante tradizionale è progettato per decollare pesante e atterrare leggero, perché brucia alcune tonnellate di cherosene in volo. In ogni caso, sia Airbus sia Boeing li studiano da tempo e, secondo la prima, «avranno senso solo nei trasporti di corto raggio per i voli regionali, al massimo un’ora». Non per nulla, United Airlines punta a far volare aerei elettrici sulle rotte regionali entro la fine del decennio, nell’ambito dell’obiettivo più vasto di ridurre a zero entro il 2050 la propria impronta di carbonio. I suoi aerei a batteria sono stati sviluppati dalla startup svedese Heart Aerospace, nella quale United ha anche investito e alla quale ha ordinato 100 velivoli nel 2021. «Non possiamo continuare a gestire la nostra attività come facciamo adesso; è imperativo cambiarla, e il modo in cui la cambieremo è investendo nella tecnologia», ha affermato Mike Leskinen, presidente di United Airlines Ventures.

Nuovi velivoli

Dove la rivoluzione è già arrivata è invece nei trasporti a cortissimo raggio, con una serie di nuovi, piccoli velivoli che possano reinventare il modo con cui ci spostiamo dentro e fuori, ma sarebbe meglio dire sopra, le città. Come Volocopter, piccolo e geniale elitaxi elettrico con 18 micro-rotori. Per adesso biposto (pilota, passeggero e un trolley da cabina), è pronto a entrare in servizio anche in Italia con la società UrbanV, fondata da Aeroporti di Roma, Gruppo Save, Aeroporto di Bologna e Aéroports de la Côte d’Azur. L’idea è simile a quella che ebbe la Pan Am nel dopoguerra: far decollare i manager e gli executive dal suo grattacielo nel centro di Manhattan per portarli sino all’aeroporto Jfk “saltando” il traffico. Con i Volocopter si andrà in aeroporto dai tetti dei grattacieli cittadini, dalle stazioni ferroviarie e dagli hotel. È vero, servizi del genere già esistono, sia in Costa Azzurra sia nelle megalopoli americane, Los Angeles e San Paolo soprattutto, ma con elicotteri rumorosi e complessi da gestire. A scompigliare il settore dei jet leggeri e dei turboelica di fascia alta ha invece pensato l’americana Eviation: dopo il primo volo del suo Alice, ha già ricevuto ordini di aerei elettrici per oltre due miliardi di dollari. Alice è il prototipo di come saranno i piccoli aerei sostenibili: costruito da zero attorno alla propulsione elettrica, non produce emissioni di carbonio ed è significativamente più economico da gestire per ora di volo rispetto ai suoi concorrenti.

Nuove città

Infine, non mancano le riflessioni su come cambieranno le nostre città: se al posto delle auto che vanno su gomma ci saranno veicoli che volano a bassa quota, come in Blade Runner, dove il pilota sarà l’intelligenza artificiale, il rischio di incidenti sarà molto più basso. Le macchine, tra di loro, si intendono meglio. Forse è una rivoluzione di là da venire, ma la prova generale, come indicano molti studi, è già in atto ed è quella dei droni per il trasporto merci nell’ultimo miglio. Non c’è solo Amazon a provarci, ma anche una serie di startup spinte dai governi. In Israele, l’Israel National Drone Initiative (Indi) spinge affinché le aziende private rimettano in circolazione tecnologie nate per uso militare in modo da alleggerire la congestione del trasporto merci in centro: «Vogliamo mettere i droni al posto dei corrieri per fare le consegna a casa», ha dichiarato Daniella Partem, a capo dell’Israeli Center for the 4th Industrial Revolution. Sogni? Dai quattro posti del piccolo Alice di Eviation sino alla colossale ala volante a idrogeno progettata da FlyZero, apertura alare di 54 metri e capace potenzialmente di portare trecento passeggeri da Londra a Sydney o a Honolulu con emissioni zero, quando si parla di volo non si tratta solo di business, di praticità e di economie di scala, ma anche di emozioni. E certamente il volo non è solo la colla della globalizzazione, il tessuto connettivo di un mondo interconnesso anche fisicamente oltre che digitalmente. È anche il sogno più antico dell’umanità. E il sogno, come scriveva centoventi anni fa Filippo Tommaso Marinetti, è futurista. 

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