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Non c’è dubbio che le emissioni antropogeniche, alimentate dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili, stiano devastando il pianeta. Con queste parole, dopo otto anni di lavoro, i più importanti scienziati al mondo del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Ipcc) hanno lanciato il loro ultimo avvertimento ai governi di tutto il mondo: agite ora o sarà troppo tardi per fermare i danni devastanti della crisi del clima.
In maniera drammaticamente semplice e diretta, il rapporto di sintesi dell’Ipcc ha cancellato decenni di retorica negazionista: “le attività umane hanno inequivocabilmente causato il riscaldamento globale. Le emissioni di gas serra con cui il mondo si trova a fare i conti ora” sono “il risultato di emissioni storiche e attuali” dovute “a un uso insostenibile dell’energia, allo sfruttamento dei territori, a stili di vita e a modelli di consumo e di produzione”.
Le cause della crisi
E non c’è più spazio per interpretazioni, giustificazioni o qualunquismo sull’origine del problema, perché “l’uso di combustibili fossili è la causa principale del riscaldamento globale”, o sulla reale esistenza di un’anomalia climatica, dato che “la temperatura globale è aumentata più velocemente dal 1970 che in qualsiasi altro periodo di 50 anni negli ultimi 2000 anni”.
Allo stesso modo, in ottica transazionale, il rapporto di sintesi dell’Ipcc sottolinea come il cambiamento climatico sia anche una questione di disuguaglianze economiche e sociali, con il “10% delle famiglie” del mondo responsabili di una quantità compresa “tra il 34% e il 45% di tutte le emissioni domestiche” e un 50% responsabile solo del 15%.
Disparità che si replica anche nella distribuzione dei danni, con persone e luoghi che “storicamente hanno contribuito meno al cambiamento climatico” colpite “in modo sproporzionato” dai suoi effetti. Più di 3 miliardi di persone vivono in queste aree altamente vulnerabili, dove la probabilità di morire a causa di inondazioni, siccità e tempeste è 15 volte superiore rispetto a quella di altre comunità.
E se l’impatto sugli esseri umani ha ridotto la sicurezza alimentare e compromesso quella idrica, aumentato le malattie e i tassi di mortalità, l’intero pianeta è stato sconvolto da “perdite sempre più irreversibili” degli ecosistemi vitali, dalla mortalità di massa delle specie sulla terraferma e negli oceani.
30 anni di avvisi a vuoto
Ma nonostante le evidenze scientifiche ed empiriche di una tale, irresponsabile devastazione, tutti questi impatti sono destinati ad aumentare rapidamente, perché i governi mondiali non hanno voluto affrontare il problema in maniera coerente e coordinata, malgrado circa 30 anni di avvertimenti lanciati dall’Ipcc, che ha pubblicato il suo primo rapporto nel 1990.