martedì, Settembre 26, 2023

Olimpiadi, perché il governo obbliga quelle delle scuole a cambiare nome

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Ad aprile si apre l’iter di conversione. Relatore della legge è un deputato dal Partito democratico, Roger De Menech. Illustrando ai colleghi il progetto di intervento, De Menech spiega di aver “introdotto due articoli molto importanti, l’articolo 5-bis e l’articolo 5-ter: entrambi servono per tutelare la proprietà dei marchi paralimpici e olimpici, proprio perché la straordinaria importanza di questo evento meritava un focus particolare, per tutelare la garanzia anche nella tenuta del marchio, e quindi di tutte le bandiere, gli stemmi, il motto, tutta la parte che riguarda la promozione dell’evento olimpico”. L’obiettivo è chiaro: evitare che truffatori possano sfruttare senza averne diritto i simboli dei giochi per fare affari. Ma sotto la scure della legge finiscono anche le scuole, che hanno obiettivi meritori e organizzano queste competizioni da anni.

È proprio sulla base dell’articolo 5-bis, che viene convertito l’8 maggio 2020 con la legge 31, che scatta il repulisti del nome Olimpiadi da tutti gli eventi, le competizioni e le attività che non hanno direttamente a che fare con Milano-Cortina 2026. Almeno fino al 31 dicembre 2026, tutte quelle che fino a ieri erano innocue Olimpiadi di qualche materia, dovranno cambiare nome. Almeno temporaneamente. Passata la festa, scaduti i divieti. Dal 2027 le ex Olimpiadi di italiano, ora campionati, potranno tornare a fregiarsi del titolo iridato.

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Il divieto tombale

Il divieto è tombale. Come si legge nel testo approvato dal Parlamento, “si applica anche ai segni che
contengono, in qualsiasi lingua, parole o riferimenti diretti
comunque a richiamare il simbolo olimpico, i Giochi olimpici e i
relativi eventi che, per le loro caratteristiche oggettive, possano indicare un collegamento con l’organizzazione o lo svolgimento  delle
manifestazioni olimpiche. Il divieto si applica in ogni caso alle
parole “olimpico” e “olimpiade”, in qualsiasi desinenza e lingua,
nonché a “Milano Cortina”, anche nella forma estesa “Cortina
d’Ampezzo”, in combinazione con l’anno 2026, ivi comprese le varianti
“venti ventisei” e “duemilaventisei
””. Origine del blocco è un trattato internazionale, firmato nel 1981 a Nairobi, per la protezione del simbolo olimpico, che l’Italia ratifica nel 1985. E che adotta nel 2005, sotto uno dei governi guidati da Silvio Berlusconi, per le Olimpiadi invernali di Torino 2006.

Lo stesso scudo è stato rispolverato per Milano-Cortina. Tuttavia, fino al 2022 non si è mossa foglia da viale Trastevere, che solo l’anno scorso, a due anni dall’entrata in vigore del divieto di “pubblicizzazione parassitaria” del nome Olimpiadi, ha iniziato a richiamare all’ordine le varie competizioni, muovendosi tuttavia a macchia di leopardo. Esistono ancora competizioni scolastiche che si fregiano del titolo di Olimpiadi per l’edizione 2022-23. D’altronde, tutto il cantiere di Milano-Cortina 2026 è in ritardo, se lo stesso ministro per le Infrastrutture e i trasporti, Matteo Salvini, a inizio anno ha riconosciuto che in occasione del grande evento “la maggior parte delle opere sarà pronta”. Tante, insomma, ma non tutte.

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