venerdì, Aprile 19, 2024

I ragazzi della 56ª strada compie 40 anni ma non li dimostra

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I ragazzi della 56ª strada non ha perso nulla della sua bellezza, per quanto rimanga uno dei film più divisivi di quel decennio e di un regista, Francis Ford Coppola, che forse in quell’occasione non riuscì a creare il film che aveva in mente o che parte della critica si aspettava. Eppure, a distanza di tanto tempo, questo rimane uno dei più importanti film di formazione di sempre, per la sua capacità di rappresentare la congiunzione tra ciò che era questo genere nel passato e ciò che sarebbe stato da quel momento in avanti, in particolare in quegli anni ’80

Un dramma giovanile nella periferia degli anni ’60

I ragazzi della 56ª strada arrivò in sala con grandi attese da parte di tutti, perché connesso ad un romanzo tra i più amati dal pubblico. Eravamo nei ruggenti anni ’60 e l’autrice Susan Eloise Hinton, traendo ispirazione dalla sua quotidianità, a soli 17 anni pubblicò il romanzo “The Outsiders”, che conobbe nel giro di poco tempo un successo travolgente. Jo Ellen Misakian, una bibliotecaria scolastica di Fresno, in California, aveva capito quanto il libro fosse ancora popolare e considerato una delle storie più popolari dai giovani lettori. Fu lei a mandare direttamente a Coppola, nella sua casa a New York, una lettera, dove spiegava perché il libro potesse diventare un film di grande successo e naturalmente una copia dello stesso. Francis Ford Coppola era reduce dal brutto insuccesso de One from the Heart, ma gli bastò poco per capire che sì, quella donna aveva ragione, il romanzo della Hinton pareva fatto apposta per lui. 

I ragazzi della 56ª strada era ambientato a Tulsa, nel 1965. Protagonisti erano una banda di ragazzi di strada, cresciuti sostanzialmente senza nessuno, abbandonati a se stessi nella povertà e degrado più assoluti. I fratelli Curtis in particolare, sono rimasti senza genitori, morti entrambi, ed ora è il maggiore di loro, Darry (Patrick Swayze) a cercare di tenere insieme la famiglia. Tulsa è divisa tra bande: da una parte i fratelli Curtis ed i loro amici, “Greasers” (facenti parte delle classi più povere) che sono invisi ai rampolli che formano la gang dei “Socials”, provenienti invece dai ceti più borghesi della città. Quando per difendersi due tra i Curtis sono coinvolti nell’uccisione di uno dei “Soc”, tutto precipita e in attesa di potersi costituire pacificamente alla polizia, Ponyboy (Rob Lowe) e Johnny (Ralph Macchio) si rifugeranno in una Chiesa, aiutati dall’irrequieto Dallas Winston (Matt Dillon). Sarà solo l’inizio di un dramma che cambierà tutto nelle loro vite.

La tanto attesa reunion di una delle serie teen più amate della storia della televisione è dal 23 febbraio su Paramount+. Ecco perché non vi deluderà

I ragazzi della 56ª strada a parte della critica ancora oggi appare forse troppo retorico, in fondo troppo edulcorato per essere un vero ritratto dello squallore di quella provincia americana e in uno degli Stati più difficili ancora oggi. Eppure, forse la verità è che Coppola riuscì a donarci un film in grado di essere in tutto e per tutto coerente con i suoi protagonisti, con quei ragazzi privi di prospettive, di un vero futuro, che fanno squadra in modo sostanzialmente istintivo, quasi naturale. Tutti loro appartengono allo stesso ambiente, allo stesso posto, a quelle case diroccate e a quella povertà che gli si attacca più della pioggia o del fango delle strade. Profondamente connesso a lo Spaccone, Gioventù Bruciata, American Graffiti e West Side Story, il film però deve moltissimo a Via Col Vento, con la perdita dell’innocenza, il mondo che cambia l’umanità in esso contenuta. 

Johnny e Ponyboy sono i protagonisti principali di quel dramma. Fuggitivi, sono allo stesso tempo protetti e messi in pericolo da Dallas, a cui Matt Dillon donò una carica di violenza e vulnerabilità quasi insopportabili, di fatto lo rese una figura giovanile tra le più tragiche della cinematografia di quegli anni. I ragazzi della 56ª strada si nutre di contrasti nella notte che è l’habitat incerto di quei ragazzi, della solidarietà tra gli ultimi destinati a rimanere tali. Vi è il corpo che cambia e con esso lo spirito, simboleggiato da quei capelli, imprigionati prima in quella brillantina che era quasi un tratto tribale della banda, che vengono colorati di biondo da Ponyboy. Johnny invece, destinato a morire per le ustioni causate da un incendio in una chiesa da cui hanno tratto in salvo dei bambini, se li taglierà. Il tutto non fa che suggerire l’idea di un rito di passaggio, ma anche di un sacrificio che richiama alla memoria l’antico testamento, più che l’autodistruzione invocata dalla beat generation dagli artisti maledetti. 

Un film che aprì la stagione dei teen movies

Parte della critica non fu soddisfatta di quella rappresentazione dell’universo giovanile, ma la realtà è che Coppola ce lo mostrò per quello che era ed è: incontrollabile, in fieri, contraddittorio e passionale. I ragazzi della 56ª strada fu un film di formazione in cui le ansie, le paure, la solitudine e il male di vivere di quell’età ci furono donate con una verità e una profondità psicologica ancora oggi attualissime. Perché a quarant’anni di distanza, sappiamo che in tutte le periferie, comprese le nostre, le cose non vanno poi in modo tanto diverso, soprattutto per quello che riguarda il rapporto di quel mondo con gli adulti. Qui proprio quest’ultimi sono totalmente assenti, non esistono, sono al massimo i poliziotti che uccideranno infine un Dallas distrutto dalla morte di Johnny dopo un tentativo di rapina e nient’altro. Il che conferma quanto Coppola fosse interessato semplicemente a mostrarci il loro mondo, il loro punto di vista, la loro realtà isolata dal resto dell’universo che vedono come luogo ostile e pericoloso.

Quel film avrebbe aperto un decennio che avrebbe lanciato in modo unico è tuttora inconfondibile la narrazione adolescenziale, con una serie di capolavori e cult cinematografici che variando dalla commedia al dramma, dell’avventuroso all’intimità, avrebbero cercato di far comprendere tutte le dinamiche insite in quell’età particolare. Quel cast, in cui si proposero volti che poi avrebbero fatto la storia del cinema, come Tom Cruise, Matt Dillon e il rimpianto Patrick Swayze, fu la base del famoso brat pack. Oggi non possiamo che ammirarlo anche come perfetto esempio di quella subcultura giovanile che in questo XXI secolo globalizzato e tecnocrate è andata progressivamente sparendo, soffocata dall’omologazione. Tuttavia non è sparita invece la drammaticità della gioventù abbandonata a se stessa, in quelle periferie di cui sovente ne abbiamo notizia soltanto nei modi più drammatici.

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