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L’Ates rappresenta quindi una sorta di batteria sotterranea sempre pronta all’uso, un modo per immagazzinare enormi quantità di energia per lunghi periodi di tempo: “In una cittadina si può immagazzinare il calore e il freddo, senza doverlo pagare in seguito – spiega Erick Burns, responsabile del Geothermal resource investigations project dello United States Geological Survey –. A differenza delle batterie, non c’è bisogno di minerali essenziali”.
La tecnica è ideale per grandi edifici, come gli ospedali, o per agglomerati di strutture, come in un campus universitario, che possono condividere una struttura dedicata per il pozzo e le altre attrezzature. Inoltre, sarebbe particolarmente efficace nei periodi di forte domanda sulla rete. Negli Stati Uniti, per esempio, la domanda energetica aumenta nei pomeriggi di fine estate, quando le persone accendono i loro condizionatori ad alto consumo. Consumando molta meno energia, l’Ates invece alleggerirebbe il carico sulla rete evitando malfunzionamenti. E se si trovasse un modo per alimentarlo non con l’energia solare o eolica, ma anche con una rete distribuita di batterie agli ioni di litio, il sistema potrebbe essere in grado di far fronte alle interruzioni di corrente.
Un modello difficile da replicare
Al momento la tecnologia non è ancora molto diffusa a livello globale. Circa l’85 per cento dei sistemi Ates si trova nei Paesi Bassi, che hanno una conformazione geologica adatta e standard nazionali rigorosi per l’efficienza energetica. Uno studio ha però rilevato che anche ampie zone della Germania sono adatte ai sistemi, mentre un altra ricerca ha scoperto che quasi un terzo della popolazione spagnola vive in aree adatte all’applicazione della tecnologia .
Tuttavia, non tutte le aree si prestano a questi sistemi. A differenza di una centrale elettrica a gas naturale, un sistema di energia geotermica dipende da una serie di fattori geologici complessi: “È difficile dire: ‘OK, questo sistema funziona bene in Illinois, allora replichiamolo in California’” afferma Yu-Feng Lin, geoscienziato presso l’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign.
C’è poi un altro ostacolo: i sistemi Ates sono costosi. Richiedono uno studio approfondito della geologia della città interessata e investimenti per la trivellazione e l’installazione dell’attrezzatura di pompaggio. Ma si tratta di una spesa solo iniziale: una volta predisposti pozzi e pompe, l’intero sistema è alimentato da energia solare o eolica gratuita. Inoltre, la tecnologia non ingombra in superficie, lasciando spazio agli orti urbani e alle altre aree verdi aperte di cui le città hanno più che mai bisogno.