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Personaggi, nomi e partiti sono immaginari ma chi non è un neofita della politica taiwanese si accorge subito dei riferimenti al DPP e alla stessa figura di Tsai nella candidata dell’opposizione, paladina di un cambiamento votato al futuro e alle nuove generazioni, con forti tinte femministe. Elementi che stanno facendo storcere il naso, seppur sottotraccia, all’opposizione (reale) del Kuomintang. Anche nella realtà, come nella fiction, Taiwan è nei mesi precedenti alla elezioni e la serie presenta di fatto una situazione ribaltata.
Gli elementi controversi tra i partiti immaginari e quelli reali
Al potere c’è il Partito Democrazia e Pace, sul quale non si entra nel merito delle posizioni politiche ma che viene rappresentato come difensore dell’ordine stabilito e dell’establishment. Tra sospetti di favori economici e non a gruppi di parentele o a grandi lobby, spicca la figura del candidato alla vicepresidenza, un elegante uomo di mezza età avvezzo alle relazioni extraconiugali con le sue assistenti, sulle quali spesso esercita anche la sua posizione di potere.
All’opposizione c’è invece il Partito della Giustizia, al cui interno restano secche di pregiudizi e prassi superate dall’avanzamento della società taiwanese. Ma quasi tutti i protagonisti della serie sono membri di questo partito, che rimanda in maniera abbastanza esplicita dal DPP, sin dai colori che lo caratterizzano. Abbastanza evidenti le similitudini tra la candidata alle elezioni e l’attuale presidente Tsai. Entrambe sono raccontate come protagoniste di una vita solitaria, entrambe devono sì accettare alcuni compromessi ma sono raccontate come idealiste.
Particolarmente smaccato il riferimento alla futura legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso in caso di vittoria della candidata di opposizione, aspetto fondamentale per la vera protagonista della storia. E, soprattutto, una promessa già realizzata nel 2019, durante il primo mandato presidenziale di Tsai. Insomma, la sensazione dell’assist al DPP in vista del voto fa capolino più di una volta durante la visione, che resta piacevole. Ed è difficile non lasciarsi coinvolgere, anche nella fiction, dalla scena in cui tutti i protagonisti della serie si presentano alle urne per esprimere il loro voto.
Lo sforzo di alterità culturale di Taiwan
Apprezzabile anche il fatto che nella serie non si parli mai della Cina continentale. Con un racconto di e su Taiwan spesso incastrato sulle questioni geopolitiche e i rapporti con Pechino, da sottolineare che in un prodotto che racconta la politica taiwanese non si costruisca la narrazione o l’identità partitica in contrapposizione alla Repubblica Popolare, ma in modo “positivo” presentando la propria società ed ecosistema politico.
L’uscita di Wave Makers, d’altronde, si inserisce in un contesto in cui il governo taiwanese spinge molto produzioni autoctone per rafforzare il senso di alterità politico-culturale-identitaria nei confronti della Cina continentale. Un altro celebre esempio recente è quello di Seqalu – Formosa 1867, prodotto dal Taiwan Public Television Service e destinatario di un’imponente campagna pubblicitaria. La serie televisiva, approdata anch’essa su Netflix, è un adattamento del romanzo Lady Butterfly of Formosa di Chen Yao-chang, un ex politico del Partito democratico progressista attualmente al governo con la presidente Tsai. Sia il romanzo sia la serie puntano a sottolineare la varietà etnica e culturale di Taiwan. D’altronde lo scrittore Chen dice di essere discendente d Siraya, una delle popolazioni aborigene dell’isola.