lunedì, Giugno 5, 2023

Rapito: il film di Marco Bellocchio cerca l'indignazione e trova un film di grande ritmo

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È esattamente questo quello che negli ultimi due decenni sembra affascinare di più Marco Bellocchio: la forza che le istituzioni più potenti (lo stato, la chiesa, la mafia) esercitano sui singoli con un disinteresse spaventoso per raggiungere i propri fini. Quanto poco si curino della sorte di queste persone comuni che finiscono nelle loro macchinazioni e il sadismo che è implicito nel concetto di potere. Lo aveva già raccontato ad esempio in Vincere, in cui Ida Dalser, madre di un figlio di Mussolini, veniva marginalizzata e resa pazza per essere andata troppo vicina al sole del dittatore. Bruciata dal potere per il solo aver voluto essere riconosciuta insieme al proprio figlio. In Rapito c’è quel medesimo il fascino per la maniera in cui le istituzioni violentano psicologicamente le persone che gli si avvicinano.

La parte più gustosa di questa grande storia di lotta e ardore umano (in mezzo c’è l’unità d’Italia) è però il modo in cui le parti in causa sono rappresentate. Bellocchio ha una grande tradizione ed esperienza nel racconto dei meccanismi del potere religioso e qui tutti gli esponenti del Vaticano, dall’inquisitore Fabrizio Gifuni al Papa Paolo Pierobon, recitano una forza quieta, una forma di violenza gentile, educata e per bene, che però non cede un passo rispetto all’efferatezza e alla spietata precisione delle azioni e delle volontà. È la differenza tra un film banale e uno condotto molto bene, i personaggi non parlano né sì comportano come solitamente fanno i loro archetipi, ma hanno una maniera di porsi che è solo loro, uno stile creato per questo film che gli dà subito autenticità. Non è difficile riconoscere in quell’atteggiamento garbato e calmo il modo di porsi effettivo della Chiesa, quella serenità attraverso la quale possono essere espressi i concetti peggiori, e una volta riconosciuto Bellocchio comincia a costruire la sua demolizione.

Tutti in Rapito sembrano dominati da questo controllo, e la trovata cinematografica per raccontare come poi questo si traduca in dolore profondissimo sta nelle urla del bambino, rapito, forzato e tenuto lontano dalla famiglia. Ogni volta che Edgardo urla, piange e grida il sonoro lo enfatizza e le immagini spingono sul melodrammatico. Il contrasto tra violenza trattenuta e suo esito deflagrante, funziona moltissimo. Rapito è un film d’indignazione civile da un lato, uno di grande ricostruzione storica dall’altro e soprattutto uno in cui raccontare ancora una volta la sproporzione di mezzi violenza e cinismo che esiste tra le istituzioni più potenti e le singole persone. Che poi la storia sia reale è un dettaglio ancora più terrificante dell’equazione.

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