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Ed è qui che la partnership con Hasbro può davvero spalancare un mondo di opportunità al progetto di Xplored. I primi progetti concreti non sono ancora stati annunciati, ma è sufficiente immaginare cosa significherebbe avere il re dei card game, Magic, su Teburu; o anche un dungeon crawler come Heroquest o, perché no, una versione ibrida del gioco di ruolo Dungeons&Dragons.
Abbiamo intervistato in anteprima Davide Garofalo, fondatore e Ceo di Xplored, che ci ha raccontato come è nata la sua visione di Teburu e come sia stato possibile raggiungere una partnership con una delle più grandi società quotate in borsa nel settore dei giochi.
La sottile linea tra board game e videogioco
“Intorno al 2017-2018, quando è nata l’idea di Teburu, il mercato dei giochi da tavolo stava crescendo in modo esponenziale“, spiega il responsabile. “Uno dei problemi principali era renderlo mainstream. I board game diventavano sempre più complessi, e studiare un manuale per ore, ricordarsi mille regole, sobbarcarsi setup lunghissimi, rappresentava una barriera importante per chiunque non fosse un vero hardcore gamer”.
Partendo da questo problema, Garofalo e il suo team si sono chiesti se fosse possibile sviluppare un sistema in grado di identificare e tracciare miniature e dadi, affidando a un’app digitale tutto il lavoro pesante e tedioso di verifica delle regole e gestione del flusso di gioco.
Il secondo requisito di sviluppo era che la parte analogica fosse comunque preponderante nell’attenzione dei giocatori. Di giochi da tavolo “ibridi”, supportati da software ad hoc o siti web, ce ne sono ormai a bizzeffe. La difficoltà è cavalcare la sottile linea tra uso e abuso del digitale, quella che se oltrepassata fa venir voglia ai giocatori di dire “a questo punto era meglio un videogioco”.
Ma anche questo non era sufficiente. La console di gioco doveva avere un costo approcciabile, intorno alla soglia psicologica dei 100 euro, per vincere le resistenze e i dubbi naturali degli acquirenti in merito a un sistema nuovo, con un supporto futuro incerto.
“Abbiamo lavorato anni”, spiega Garofalo, “optando per una tecnologia di facile impiego, standard, basata su sensori ed elettronica stampata. Inutile puntare a tablet enormi, o a visori avveniristici dal costo di 500 o 1000 euro. Nessuno compra la tecnologia. La gente compra il valore aggiunto. E in questo caso il valore che volevamo fosse percepito era la possibilità, in ogni caso, di portarsi a casa un pacchetto completo con Teburu più un bel gioco a meno di 200 euro”.