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A quest’ultimo viene finalmente data la possibilità di riscattarsi dopo l’imbarazzante adattamento di I cavalieri dello Zodiaco. One Piece gli permette di sfoggiare sia il suo talento come attore che come atleta: è serioso, severo, risoluto e agilissimo come la sua versione originale, un’incarnazione perfetta. Mancano – nel manga compaiono più avanti – come confermato in precedenza da Netflix, Nico Robin e Chopper (e viene da chiedersi come verrà rappresentata la renna ciarliera, sia una rappresentazione in Cgi che una artigianale appaiono potenzialmente disastrose), ma One Piece regala immense soddisfazioni inserendo tutte le figure cardine della prima parte della saga in tutto il loro eccentrico splendore, osannandone e onorandone l’individualità: dal superbo Mihawk al mellifluo Kuro, dal folle Baggy al vendicativo Arlong. Lo sforzo di trovare il volto giusto in qualche caso non ripaga, e un paio di casi scarsissime performance attoriali rovinano parzialmente l’esperienza.
Se il problema del live action di Cowboy Bebop era di doversi confrontare con un capolavoro di nostalgia, classe, esistenzialismo e fatalismo, un’opera high concept che era anche il frutto del zeitgeist, One Piece aveva altre sfide da affrontare, principalmente tradurre in realtà un mondo fantastico con un’iconografia riconoscibilissima, amata e piuttosto dispendiosa da riprodurre. Il risultato è grandioso, sia per la disponibilità economica che ha permesso alla produzione di ricreare scenografie e accessori nei più piccoli dettagli sia per la scelta – tutto sommato non così ovvia – di rimanere fedelissimi all’estetica della fonte, specialmente nella rappresentazione dei personaggi più pittoreschi, con un paio di eccezioni oculate davvero azzeccate. Ciascuno è perfettamente riconoscibile al primo sguardo per chi conosce l’opera di riferimento, ognuno è strano, unico e bizzarro come nei manga nonché deliziosamente provvisto degli stessi manierismi che ne contraddistinguono la personalità.