domenica, Ottobre 6, 2024

Venezia 80, giorno 4: cronache di cinema e non solo

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Bentrovati cari lettori di LinkinMovies.it alla quarta giornata della Mostra del Cinema 2023. Siamo nel primo fine settimana, concluso il quale la kermesse lidense volgerà nella seconda parte. Le proiezioni dei film in concorso procedono spedite con fortune alterne, ma di questo ne parleremo lunedì nel consueto momento di analisi del pagellino con i voti della critica italiana e internazionale. Intanto, giusto per fare un punto, elenchiamo i film in lizza per il Leone d’oro finora presentati: Comandante di Edoardo De Angelis; Ferrari di Michael Mann; Dogman di Luc Besson; El Conde di Pablo Larraín; Bastarden (The Promised Land, titolo internazionale) di Nikolaj Arcel; Poor Things di Yorgos Lanthimos; Finalmente l’alba di Saverio Costanzo. Nel corso della giornata si sono aggiunti alla lista Adagio di Stefano Sollima e Maestro di Bradley Cooper e anche The Palace di Roman Polanski e Aggro Dr1ft di Harmony Korine, la nostra decima luce del cinema, entrambi Fuori Concorso. Oggi però è stato anche il giorno di Tony Leung Chiu-Wai, Leone d’oro alla Carriera della 80a Mostra del Cinema. Insomma, si sente che è arrivato il fine settimana. Noi non abbiamo seguito tutto il programma appena letto, ma abbiamo proceduto secondo la nostra rotta con la visione di un film del concorso e di una sorpresa. Soprattutto la cronaca di questa giornata vuol mettere al centro il premio a Tony Leung, un attore il cui nome parla da solo. Non solo ha recitato in bellissime produzioni di Hong Kong e Cina, ma soprattutto ha dato corpo ai desideri, pensieri, azioni dei registi con cui ha lavorato, soprattutto con Wong Kar Wai, come abbiamo detto nella nona puntata del nostro podcast dedicata al regista hongkonghese. 

Prima di raccontarvi come è andata la cerimonia di consegna del prestigioso premio e di relazionarvi su quanto affermato da Leung in conferenza stampa, dobbiamo mettervi al corrente di una questione che lo riguarda. La conferenza stampa si è svolta oggi alle 11.30 al termine della mattina o all’inizio del giro di incontri ufficiali, ma soprattutto nel cuore delle proiezioni mattutine. Infatti per gli accreditati stampa alle 11.15 c’è stata la visione di Adagio di Sollima, quindi buona parte di coloro che volevano seguire sia il film che le parole di Tony Leung hanno dovuto scegliere cosa sacrificare, come troppo spesso si fa alla Mostra. Troppi film, troppi eventi non accontentano nessuno e scontentano tutti, lo ripetiamo da anni ormai! Altra cosa che non ci ha convinto nella gestione di questo Leone d’oro alla Carriera da parte della Mostra è la cerimonia di consegna avvenuta alle 14.15 in Sala Grande, seguita poi dal documentario sui 90 anni della Mostra del Cinema, La parte del Leone: una storia della Mostra. In questa scelta ci sono due cose che non ci convincono. Innanzitutto l’orario, troppo presto, se si considera, inoltre, che la proiezione di The Palace, fuori concorso, è stato programmata per le 21.15 preceduta dalla consegna del Premio Campari Passion for Film a Tonino Zera. Deduzione: ci sembra di intuire che è stata voluta dare maggiore visibilità da parte della Mostra a un film Fuori Concorso e a un premio degli sponsor, piuttosto che a un Leone d’oro alla Carriera. E poi, perché non proiettare un film con Tony Leung? Anche uno minore, non necessariamente In the Mood for Love o 2046 o Lussuria che qui a Venezia ha vinto il Leone d’oro? E infine, l‘attore di Hong Kong non ha avuto il modo di fare una sua masterclass, in questa Mostra del Cinema piena zeppa di incontri e discussioni ufficiali? Non ha voluto farla? Se così fosse, poteva essere reso noto alla stampa. Insomma ci sembra che tra il Leone d’oro alla Carriera a Liliana Cavani e quello a Tony Leung ci siano stati due pesi e due misure. È solo una nostra impressione? Abbiamo lanciato questi interrogativi su Twitter, ma come sempre nessuno tra La Biennale e il direttore Barbera hanno risposto.  

E il cinema? Eccolo! Adagio di Stefano Sollima, concorso di Venezia 80. Il film è davvero un adagio, ma molto adagio, quasi una sinfonia immobile. E ciò non riguarda solo il tempo della narrazione, ma anche la narrazione stessa che fondamentale non c’è. Adagio dura circa 1 ora e 40 minuti e fino a 20 minuti dalla fine non succede praticamente nulla. Poi improvvisamente qualcosa si anima e si giunge al finale, alquanto banalotto. Roma brucia, di fuoco e criminalità. Questa non riguarda più solo i criminali, ma anche i carabinieri corrotti che, per incastrare dei politici, ingaggiano, anzi ricattano, un ragazzo molto giovane, figlio della criminalità del passato, in quanto suo papà, chiamato Daitona, interpretato da Toni Servillo, è stato un membro della Banda della Magliana. L’innesco è futile e si nasconde completamente dietro le grandi immagini di decadenza di Roma o delle sontuose feste che il cinema di Sollima ci ha abituato a vedere. Il ragazzo è, quindi, in difficoltà, e così entrano in scena gli ex compagni di banda del padre che cercano di aiutarlo ad uscire dal ricatto. Tra questi ci sono Valerio Mastandrea, Pol Niuman e Piefrancesco Favino, Camel, che tra i due è quello preso peggio per il trucco perché la sua deformità fisica assomiglia a una delle creature improbabili di Lanthimos di Poor Things. Si innesca così un gioco di corse e rincorse, botte e parolacce, minacce e contusioni tra i carabinieri, il ragazzo e i criminali vecchiotti, ma tutto in maniera lentissima. La musica dilata ancora di più le scene, i movimenti di macchina sono a velocità quasi immobile, la recitazione è rarefatta e si percepisce la totale assenza di ritmo. Si giunge quindi al finale e il polso del film batte un colpo. La domanda è la solita, perché Adagio è in concorso? Se fosse passato al cinema durante la stagione, forse avrebbe avuto più possibilità di essere apprezzato, ma così in mezzo al concorso, con le altre visioni, che senso ha avuto inserirlo? A parte questa domanda, nella mente dello spettatore della Mostra 2023 che vede Adagio purtroppo non rimane davvero nulla. Gli attori, tutti, compresi Adriano Giannini e Francesco Di Leva nel ruolo dei carabinieri corrotti, non caricano troppo nell’interpretare questi personaggi caricature, ma è una magra consolazione. 

Non siamo stati fortunati nemmeno nella visione del film di Orizzonti, per la serie “Scoperte dal Lido”. Abbiamo scelto Tatami del regista israeliano Guy Nattiv e dell’attrice iraniana Zar Amir Ebrahimi qui in veste di regista. La storia è di sport e politica in quanto ai campionati mondiali di judo in Georgia – il film è una produzione americana-georgiana – la judoka Leila è imbattibile, ma il regime iraniano non gradisce che combatta una eventuale finale con l’avversaria israeliana. Quindi, la sua allenatrice, appunto Zar Amir Ebrahimi, cerca di convincere Leila a non gareggiare e a non concorrere per l’oro. Ovviamente la forza, il senso di giustizia, la voglia di combattere prevalgono e si crea un incidente diplomatico tra la federazione internazionale di Judo, la lottatrice e ovviamente lo stato iraniano. Allora, il tema non è male, ci sarebbe molto da dire, però i due registi prendono un’altra strada fatta di scene madri, lacrime facili, volti contriti, urla e fughe. I parenti dell’atleta protagonista, infatti, sono rimasti a Teheran e quando lei decide lo stesso di combattere nel suo percorso verso la finale, o scappano verso il confine, mollando tutto improvvisamente, o sono presi in ostaggio dal regime. Dimenticavamo, ci sono anche i cattivoni che sono tutti iraniani che con voce minacciosa e tagliente cercano di bloccare Leila. Insomma una serie di stereotipi visivi a cui si associa la macchina da presa dei registi che non sta davvero mai ferma, rischiando a volte di far perdere l’equilibrio anche a chi sta seduto in sala. Nelle scene di lotta tra le atlete, poi il rischio “centrifuga” è altissimo, perché la macchina sale, scende, si inserisce tra le atlete, le schiva, corre sul tatami in maniera a dir poco vorticosa. Alla fine rimane il rammarico, perché il tema degli atleti costretti a non gareggiare a causa di problemi politici o imposizioni da parte dei vari regimi è un tema grave e spesso frequente, che il cinema, effettivamente, dovrebbe affrontare. I registi, però, potevano approfondire il valore umano, il senso di sacrificio, la volontà reale di combattere e invece filmano in materia banale e con un trionfalismo rimarchevole soprattutto nel finale. Possiamo sentenziare senza troppa difficoltà che Tatami è più un film per la televisione che uno da Orizzonti.  

Tony Leung! Tony Leung! Per trovare un po’ si sollievo alle delusioni cinematografiche odierne, ci spostiamo su Tony Leung. Come detto prima, oggi ha ricevuto il Leone d’oro alla Carriera. La conferenza stampa, forse anche per l’orario, è stata quasi deserta, eravamo davvero in pochi a sentirlo. Ha moderato la cara Elena Pollacchi. Lei stessa l’ha presentato come un attore che ha segnato diverse epoche, che ha attraversato diverse stagioni della cinematografia di Hong Kong oltre ad essere stato protagonista del primo film taiwanese vincitore del Leone d’oro, Città dolente di Hou Hsiao-hsien nel 1989. Tony era visibilmente emozionato e ha dimostrato molta gratitudine alla moderatrice per queste parole che ha commentato dicendo che finalmente potrà avere un Leone d’oro tutto suo. Annotazione: tre film con Tony Leung protagonista hanno vinto il Leone d’oro: oltre Città dolente, Cyclo di Tran Anh Hung nel 1995 e Lussuria di Ang Lee nel 2007. La conversazione è proseguita parlando del suo modo unico di recitare in cui l’attore si esprime non esagerando mai né con le parole, né con il linguaggio del corpo. Leung ha detto che ciò dipende dalla sua impostazione accademica e dalla fase di preparazione. Quando si approccia a un film legge molta letteratura soprattutto cinese, ma anche giapponese e inglese e trascorre molto tempo in questa fase, cercando di comprendere più che può i suoi sentimenti e far nascere dentro di lui il personaggio. Non riesce, infatti, a entrare nei suoi ruoli inconsciamente, perché la persona è più importante del ruolo. Il discorso, successivamente, è proseguito parlando del suo legame con Wong Kar Wai. L’attore di hongkonghese ha affermato che il legame con lui è strettissimo e che lavorare in un suo film è un’esperienza particolare in quanto la sceneggiatura quasi non c’è, e che ogni aspetto del film, dal linguaggio alla recitazione alla parte tecnica, devono essere respirati sul set. Ad esempio il successo di In the Mood for Love, ha affermato Tony Leung, si deve non al regista o agli attori ma a tutto il team, per questo motivo è uno dei migliori cinque film della storia del cinema. L’attore ha anche messo in evidenza che per il suo modo di recitare deve molto a Hou Hsiao-hsien che l’ha molto ispirato. Tornando sulla sua capacità attoriale, Leung ha detto che lui si butta in tutte le sfide sia che provengano da una produzione di Hong Kong che da Hollywood. È capitato il film a Los Angeles, ed è andato. Non calcola, non pianifica, ma segue il suo cuore. Elena Pollacchi, poi, pone in evidenza la sua polisemia quando recita ossia la sua capacità di passare dalla commedia, alla tragedia, alla farsa, a film meno importanti, mantenendo sempre un ottimo livello. L’attore risponde che ciò dipende dalla sua formazione accademica, ma anche dal fatto che ha lavorato molto in televisione sia nell’epoca d’oro della tv di Hong Kong che in quella del cinema, quindi ha potuto prendere confidenza con i diversi generi. Il dialogo, anche con chi è intervenuto, è stato fitto e coinvolgente perché Tony Leung si è davvero aperto a tutti coloro che volevano ascoltarlo. Hai proprio ragione Tony, oggi è il tuo giorno!

Ci siamo spostati poi alle 14 circa in Sala Grande. Qui non c’eravamo, ma abbiamo comunque seguito la cerimonia di consegna del Leone d’oro alla Carriera. La sala ci è apparsa piena e viva, volenterosa di festeggiare Tony Leung a cui è stato tributato un lungo applauso alla sua entrata in sala. La cerimonia è stata introdotto dal direttore Barbera che ha sottolineato che la Mostra del Cinema è una vecchia signora e con orgoglio e senza false modestie è onorato di vedere un folto pubblico al Lido. Il direttore si è detto contento delle lodi attribuite (alla Mostra o alla sua direzione?) e anche delle critiche e ha enfaticamente detto che il festival del Lido ha proposto un esempio in tanti aspetti di gestione di un festival che altri hanno copiato. Poi ha aggiunto che la Mostra del 2020 è stata una prova eccezionale che l’ha riempito di orgoglio. «La Mostra è stato l’unico festival nel mondo quell’anno» (comunque il Festival di Berlino s’è svolto proprio quando avanzava il virus del Covid-19 a metà febbraio). Poi finalmente il direttore ha introdotto il Leone d’oro a Tony Leung. Prima di procedere, una riflessione è d’obbligo. Ma questa introduzione che collegamento ha con la cerimonia di premiazione? Che c’entravano tutte queste lodi? Il direttore ha bisogno di mettere alcuni punti fermi per rimarcare il suo lavoro? Pare non sia necessario, visto gli onori che, come lui stesso dice, in molti gli tributato. Andiamo avanti. Barbera ha definito Tony un attore carismatico, che ha recitato in tre film vincitori del Leone d’oro e che ha dato una grande impronta al cinema cinese. Altra precisazione. Tony Leung è orgogliosamente di Hong Kong e lui è stato il volto di questa cinematografia. Incappare in questa confusione geografica e industriale di questi tempi di forti attriti tra la Cina e Hong Kong non è stata una gran mossa per Barbera. Comunque, dopo questa gaffe, è arrivato sul palco Ang Lee che ha letto la sua laudatio all’attore. Ha messo in evidenza anche a lui la sua versatilità e la sua capacità di far crescere creativamente ogni pellicola in cui lavora non solo per i suoi occhi, per il suo corpo, ma soprattutto per la sua anima. Ha poi raccontato un paio di aneddoti legati alla riduzione di Lussuria come ad esempio che Tony ha sostenuto il regista in un forte momento di profonda emozione, perché lui si mette al servizio non solo del film ma in particolare del cinema. Qui l’affetto della Sala Grande nei confronti di Tony Leung si è percepito forte grazie ai calorosi applausi che l’hanno fatto commuovere. Quando, infatti, l’attore è salito sul palco per ricevere il Leone d’oro la sua emozione era altissima e il lungo applauso (non abbiamo cronometrato la sua durata) è stato un forte colpo al suo cuore. Ha ringraziato La Biennale e la Mostra e ha sottolineato il grande onore nel ricevere questo premio. Poi si è detto grato di essere cresciuto a Hong Kong, di aver fatto parte della sua industria cinematografica e che nei suoi 41 anni di carriera ha avuto modo di lavorare con grandi creatori del cinema. Ha concluso esprimendo l’onore che sente per il cinema di Hong Kong. Ultimissima annotazione: non è stata proiettato nessun video che raccogliesse le interpretazioni di Tony, nessuno omaggio video, nessun ricordo. Dopo tre Leoni d’oro, come ha anche sottolineato il direttore, era il minimo un tributo del genere. Va bene, alla fine di tutto, grazie Tony Leung perché rappresenti corpo e anima il cinema stesso. 

Basta, per oggi basta. Domani vi parliamo della conferenza stampa di Harmony Korine perché ha bisogno di un po’ di tempo per essere raccontata. Intanto il suo film Aggro Dr1ft è stato proiettato in questa giornata a mezzanotte.

A domani! 

Crediti fotografici.
Foto 1, Photocall – Golden Lion for lifetime achievement – Tony Leung Chiu-Wai (Credits Giorgio Zucchiatti La Biennale di Venezia Foto ASAC) (6)
Foto 2, Aggro Dr1ft, Official still
Foto 3, Adagio, actor Adriano Giannini (Credits Emanuela Scarpa) 
Foto 4, Tatami, actor Zar Amir Ebrahimi
Foto 5, Press conferenze – Golden Lion for lifetime achievement – Tony Leung Chiu-Wai (Credits Giorgio Zucchiatti La Biennale di Venezia Foto ASAC) (4)

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