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C’è poi tutto l’aspetto legato a quelle che vengono chiamate “micro-manovre”: abilità che gli esseri umani affinano con il passare degli anni. Per esempio, quando vediamo davanti a noi una macchina che procede troppo lentamente, possiamo immaginare che stia cercando parcheggio e quindi lasciarle lo spazio necessario per fare marcia indietro e posteggiare. Se invece vediamo qualcuno che sbuca a un incrocio da sinistra, possiamo decidere di spostarci lievemente a destra nel caso in cui non si fermi esattamente dove sarebbe previsto (e dove quindi si aspetterebbe un algoritmo).
Abilità umane
Noi esseri umani possiamo affrontare questi ostacoli facendo affidamento su esperienza e buon senso, e ciononostante sbagliamo in una gran quantità di casi (con esiti a volte tragici). Le serie statistiche, che rappresentano l’unica esperienza di cui sono dotati gli algoritmi di deep learning, si dimostrano invece all’altezza solo in ambienti rigidamente controllati (come può essere il caso di un aeroporto) o in cui si verifica un numero molto inferiore di incognite (come potrebbe essere il caso delle autostrade), ma non sono sufficienti per gestire il caos che caratterizza la maggior parte delle strade urbane. “La casualità dei comportamenti non può essere gestita dalla tecnologia di oggi”, aveva affermato tempo fa Markus Rothoff, responsabile di Volvo per la guida autonoma. Una situazione che non sembra essere cambiata.
Come sa chiunque abbia esperienza di guida, quando si è al volante le eccezioni sono la norma. Uno scenario estremamente complicato che noi navighiamo, come detto, grazie all’esperienza e alla capacità di anticipare i comportamenti degli altri guidatori. “Noi esseri umani siamo molto bravi in questo, ma le auto autonome hanno molta difficoltà a comprendere le intenzioni degli altri guidatori”, ha spiegato Barry Brown, scienziato specializzato in auto autonome dell’università di Stoccolma.
Il problema, per come l’ha spiegato Brown, è che le strade sono, di fatto, dei luoghi sociali, dove le persone alla guida – tramite il loro comportamento – comunicano agli altri come interagire con esse e con l’ambiente circostante. Le auto autonome, invece, non sono minimamente in grado di fare tutto ciò e sono molto più vicine – spiega sempre Brown – “a dei bambini non ancora sufficientemente socializzati”.
Trasformare le città
Per assurdo, sarebbe forse più facile introdurre in modo sicuro le auto autonome se fosse concesso soltanto a loro di circolare per le strade. In questo modo si eliminerebbe il rischio di incomprensioni con i guidatori umani, i pedoni, i ciclisti. Questo scenario non è però solo molto difficile da realizzare, ma richiederebbe anche una totale trasformazione delle città.