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Le big tech dovranno studiare sistemi di interoperabilità, per far funzionare i propri servizi anche con quelli di altri operatori, magari più piccoli. Per esempio, usare Whatsapp per contattare gli utenti su altre piattaforme e viceversa. Poi dovranno dare più scelta sui software e i servizi pre-installati, contemplando l’ipotesi che un utente possa scegliere le alternative che preferisce. Ipotesi? Disinstallando iOS da un iPhone. Chi gestisce piattaforme di ecommerce o social network deve prevedere meccanismi di trasparenza sulla pubblicità, sugli algoritmi di raccomandazione e sull’indicizzazione. Perché Amazon mette in cima un tipo di auricolari anziché un altro? Il produttore avrà diritto di saperlo. E i colossi non potranno più riservare i posti privilegiati nelle vetrine dello shopping ai propri prodotti. Infine, i dati. Le big tech ne raccolgono moltissimi, anche dall’interazione tra utenti e aziende che adoperano i loro servizi e che consentono loro di ottimizzare i propri prodotti e servizi, rendendoli più concorrenziali con quelli altrui. Ebbene, con il Dma quei dati devono essere aperti anche alle controparti.
Le big tech possono contestare la designazione, usando informazioni quantitative. E c’è chi lo ha fatto anche in questo caso, come è già avvenuto con Amazon e Zalando nel caso del Dsa. Sono quattro le indagini aperte sotto il cappello del Dma. Riguardano Bing, Edge e Microsoft Advertising per quanto riguarda il colosso di Redmond e iMessage per casa Apple. La Commissione ha tempo cinque mesi per chiuderle. Entro un anno, invece, deciderà se iPadOS è da definire come gatekeeper. Mentre per ora scampano l’adeguamento alle nuove regole Gmail, Outlook e Samsung Internet Browser. Lo stesso colosso coreano è al momento fuori dal club dei gatekeeper.
Il problema della crittografia
Al netto delle buone intenzioni in campo antitrust, il Dma ha sollevato alcune preoccupazioni. In particolare, è la voce interoperabilità ad aver causato mal di pancia. La Electronic frontier foundation (Eff), organizzazione statunitense a difesa dei diritti digitali, già nel 2022 poneva l’accento sui problemi di sicurezza che il Dma potrebbe causare, specie nel campo della messaggistica. In teoria, secondo il nuovo pacchetto europeo, chi usa Whatsapp dovrebbe poter comunicare in un futuro con Signal e viceversa.
“L’obiettivo dell’interoperabilità è rendere più facile per le persone lasciare le piattaforme delle big tech in favore di altre concorrenti, senza minare la loro capacità di comunicare con chiunque decida di rimanere dentro i giardini recintati delle big tech”, si legge sul sito della Eff. Una spinta ad abbattere i feudi delle big tech, aggirare la sorveglianza governativa ed esercitare meglio i propri diritti. Tuttavia la messaggistica è un segmento delicato. Eff richiamava già un anno fa l’importanza di “non indebolire la crittografia end-to-end di servizi come Whatsapp o iMessage o di minare la sicurezza”. Una tecnologia fondamentale per tutelare la libertà di espressione e i diritti umani. “Una soluzione tecnologia che è semplice da esprimere in termini legislativi può avere conseguenze imprevisti, come creare incentivi per le aziende a compromettere la sicurezza degli utenti”, è l’allerta dell’organizzazione.
Ora la parola alle aziende. I colossi hanno tempo fino a marzo 2024 per adeguarsi. Mentre a febbraio dell’anno prossimo la Commissione potrebbe presentare nuove designazioni.