Questo articolo è stato pubblicato da questo sito
Non sono ancora chiare le implicazioni di un atto simile, anche se è perfettamente in linea con l’agenda politica di Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito nazionalista e conservatore del presidente Modi, che va nella direzione di un’unificazione culturale del paese a favore della maggioranza hindu, che rappresenta all’incirca l’80% della popolazione, e a discapito delle molte minoranze etnico-religiose, in particolare musulmani e sikh.
La vicenda:
Il summit
Il G20 è un forum internazionale che riunisce 20 Paesi del mondo, tra cui Stati Uniti, Canada, Francia. Germania, Italia, Giappone, Brasile, Messico, Cina e Russia. Con i suoi 200 incontri in programma, questo vertice rappresenta un banco di prova fondamentale per la credibilità internazionale dell’India, che ambisce a consolidarsi come leader asiatico in competizione con la Cina. Tra un anno, inoltre, l’India andrà alle urne. Una ragione di ulteriore pressione su Modi perché l’evento diplomatico sia un successo.
Il primo ministro vuole proiettare un’immagine vincente dell’India. A tal fine, sono stati stanziati ben 110 milioni di euro per il “progetto di abbellimento” di Nuova Delhi. Tuttavia, ciò che più colpisce i delegati già arrivati nella capitale sono le sagome di cartone colorate installate in molti gli angoli della città. Raffigurano delle scimmie e servono a nascondere uomini incaricati di emettere grida minacciose per allontanare i fastidiosi macachi dagli hotel delle delegazioni straniere.
La storia
E poi c’è la questione Bharat sull’invito. Tutt’altro che secondario. L’India è una nazione-continente essenzialmente multietnica e multiculturale (sono 22 le lingue ufficiali e più di 1600 i dialetti), in cui le frizioni tra le varie comunità continuano a incendiare il dibattito politico, e il tema del nome, e quindi dell’identità culturale del paese, è percepito come decisivo. È stata molto contestata, infatti, la decisione presa dal governo in carica di cambiare i nomi islamici di piazze, strade e monumenti per sostituirli con appellativi hindu.
Bharat è una denominazione ancora molto utilizzata nel parlato quotidiano da tutti ma ha una relazione stretta con la cultura hindu. Secondo i Purana, testi sacri dell’induismo, Bharata era il nome di una tribù indoaria che i testi fanno risalire all’omonimo personaggio mitologico. La scelta di Modi di privilegiare questo nome sancirebbe perciò la superiorità di questa cultura, non solo rispetto alle vestigia ancora presenti della passato coloniale di cui si fa fiero avversario, ma anche a discapito delle altre componenti etniche e religiose. Dietro alla politica di “decolonizzazione”, insomma, si cela una tendenza culturalmente omologante opposta all’ideale multiculturalismo portato avanti dal principale avversario politico, il Partito del Congresso indiano.
La questione politica
Che le intenzioni dei nazionalisti siano concrete e non riguardino solamente piazze, monumenti e cene eleganti lo dimostra la mozione presentata dal deputato di Bjp Naresh Bansal proprio sul nome India. Ha detto che è un simbolo di “schiavitù coloniale“ e “dovrebbe essere rimosso dalla costituzione“. Gli inglesi, ha spiegato, “cambiarono il nome di Bharat in India. Il nostro Paese è conosciuto con il nome Bharat da migliaia di anni. È l’antico nome di questo Paese e si trova negli antichi testi sanscriti”.