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È stato a lungo applaudito il nuovo film di Matteo Garrone Io Capitano, in concorso per la prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia. Dopo Pinocchio, il regista di Gomorra torna a raccontare una storia strettamente legata all’attualità, scegliendo uno stile lontano dal documentario e più vicino a quello di una fiaba nera.
Il suo Pinocchio questa volta si chiama Seydou, è un adolescente senegalese e sogna di diventare un cantante famoso in Europa e aiutare così la madre e i fratelli, felici nella loro “casa che crolla”. Insieme al suo migliore amico sceglie, di nascosto da sua madre, di intraprendere l’avventuroso viaggio attraverso il deserto e poi il mare, senza immaginarne i pericoli multipli. E’ la storia dell’ingenuità di chi ha tutta la vita davanti e la voglia di costruirsela secondo i propri desideri, schiacciata dalla tragica realtà che conosciamo, fatta di soprusi, violenze, mafia libica, torture, scafisti. Garrone nel raccontare tutto questo opera almeno tre scelte interessanti: la prima, farsi aiutare sia in fase di sceneggiatura che di riprese da ragazzi africani che hanno compiuto il viaggio veramente. La seconda, dare spazio all’onirico, inserire momenti visivamente suggestivi e poetici, per raccontare le emozioni e i pensieri, oltre la fatica e la sopraffazione. La terza, concentrarsi narrativamente solo sul viaggio. Non sulle sue conseguenze, non sull’accoglienza e i centri di permanenza temporanea italiani, ma solo ed esclusivamente sull’odissea del viaggio.