Bentrovati cari lettori di LinkinMovies.it alla terzultima giornata di proiezioni della Mostra del Cinema 2023. Come anticipato ieri, la parabola di questo festival volge al termine. Oggi sono apparsi sul tappeto rosso per la proiezione ufficiale le delegazioni dei film Holly di Fien Troch, Lubodi Giorgio Diritti, mentre domani, venerdì toccherà a Woman of…, titolo internazionale, di Małgorzata Szumowska e Michel Englert, Out of Season, sempre titolo internazionale, di Stéphane Brizé e Memory di Michel Franco a chiudere ufficialmente il Concorso. Sabato sarà, infine, il giorno del film di chiusura La sociedad de la nieve di J. A. Bayona. Non è il caso di trarre già un bilancio di quello che è stato il concorso di Venezia 80 sia perché mancano ancora dei film, sia perché non sappiamo i vincitori dei Leoni d’ oro e d’argento che hanno una forte responsabilità nel suggellare negativamente o positivamente il festival di Venezia. Attendiamo, quindi, però se volete sapere il nostro giudizio, parziale si intende, non è certo soddisfacente. Le preoccupazioni, gli interrogativi, i dubbi che abbiamo messo in evidenza nel nostro articolo di presentazione, pubblicato a fine luglio, non hanno trovato risposte, anzi molte conferme. Ma attendiamo, perché tutto può accadere.
Per quanto riguarda noi, quello che state leggendo è l’ultima cronaca del Lido. Domani, venerdì, in tarda serata, speriamo non troppo tarda, uscirà una puntata del nostro podcast La Luce del Cinema direttamente qui dal Lido che racconta la luce del cinema della Mostra. Vi spiegheremo come si svolge un grande festival come questo, la sua cornice, cosa succede nei luoghi più misteriosi come la sala stampa, le sale, ma anche le stanzette di passaggio degli attori tra un’intervista e la proiezione del film. Vi spiegheremo il pubblico della Mostra, come si divide, come si comportano i fan e la loro forza nello stare sotto il sole in attesa dei loro divi e poi le nostre giornate, i ritmi, i tempi, i minuti da sfruttare per poter pensare a fare le cose più basilari, come mangiare. Insomma vogliamo esprimere verbalmente, oltre a quanto già facciamo in queste cronache, quella luce che conquista migliaia di cinefili e curiosi ogni anno e che li porta a vivere la Mostra del Cinema. In questa particolare puntata, però, non ci dimentichiamo del cinema, quello girato, per cui vi parleremo anche di un regista, non noto, non presente nella selezione ufficiale della Mostra, ma in un’altra sezione, che potrebbe essere una luce del presente e del futuro da tenere d’occhio, seppur abbia già all’attivo quattro lungometraggi. Vi stiamo dicendo troppo, domani saprete di chi stiamo parlando! Se la puntata del nostro podcast in diretta dalla Mostra, quindi, è una cronaca un po’ diversa del giorno 10, sabato torniamo alla parola scritta e vi racconteremo quest’ultimo giorno di Mostra del Cinema. Le nostre cronache, giorno 11, avranno un aspetto diverso e saranno aggiornate lungo la giornata. La mattina faremo un punto sul pagellino della critica e azzarderemo un palmares che potrebbe essere in linea con i gusti della giuria. Negli anni passati c’abbiamo preso, quindi fate attenzione! Poi la sera, dopo la cerimonia di premiazione, vi relazioneremo sui vincitori e faremo un breve commento. State ancora collegati perché il nostro racconto di Venezia 80 non è ancora finito.
Veniamo a cosa è stata la giornata di oggi. Vi parliamo di tre film, si proprio tre perché sono gli ultimi giorni e cerchiamo di vedere più film possibili, suddivisi in tre sezioni, accomunati, in un modo o nell’altro, dall’idea di comunità. Cominciamo.
E il cinema? Eccolo! Non abbiamo visto Lubo di Giorgio Diritti e ci dispiace, ma la nostra è stata una scelta forzata. Come può la programmazione della Mostra inserire un film di più di tre ore al termine della manifestazione? Dopo più di una settimana di visioni, con che occhi osservare un film così? Poi, i film di Diritti non sono mai state delle commedie leggere, ma pellicole in cui bisogna starci dietro e seguire il filo della narrazione. Insomma, non ce la siamo sentita di vedere e magari non capire. In fondo il direttore Barbera nella conferenza stampa di presentazione aveva ammesso che il cinema di Diritti non gli piace, quindi, dal momento che gli ha concesso la possibilità del concorso, almeno che paghi inserendolo alla fine! Sappiamo non è andata così, però ci è sembrato che fosse andata così. Abbiamo quindi rimediato su Holly di Fien Troch, regista belga, figlioccia della Mostra che nel 2016 ha vinto il premio per la migliore regia in Orizzonti con il film Home. Holly è un film da interpretare. La storia si concentra su una ragazzina, adolescente, emarginata dai compagni di scuola, vittima di bullismo, emarginata pure in casa perché la madre e la sorella non la considerano molto; preferiscono guardare la televisione a lei. Un giorno ha una sorta di premonizione per cui non va a scuola e questa effettivamente va a fuoco. La giovane Holly nove mesi dopo, al posto di essere tacciata di essere una portatrice di sventura, come ci ha insegnato la tragedia greca, diviene una specie di miracolata che riesce a guarire le persone, anche grazie a una sua insegnante che la inserisce nei gruppi della scuola.
Qui avviene il corto circuito del film. Mentre la ragazzina acquisisce il suo “potere” il linguaggio della regista porta la visione da un’altra parte. La scelta delle musiche, infatti, che accompagna le sue azioni richiamano l’aumentare della tensione nei film gialli/thriller. In più i lenti piani sequenza della regista sul volto della ragazzina che ormai appare uscita dall’emarginazione, ne inquadrano uno sguardo satanico, diabolico come se stesse per perpetrare la sua vedetta. Ma ciò non avviene e Troch cerca un finale che possa andare bene. Perse ormai le speranze che il film possa avere una spinta emotiva e non sia solo un incastro di scene in cui la comunità elogia e osanna Holly per i suoi poteri, la regista vira verso un finale di redenzione per la ragazza. Conscia, infatti, di essere diventata quasi una approfittatrice e aver creato più danni che altro, pensa che in realtà la vera forza che tiene tutto insieme è l’amore. Il finale, così, appare alquanto scontato, considerando come il film è iniziato. Holly non è un film su una comunità che si avvolge attorno a un evento tragico, è un film che non sa dove vuole andare. Ma non è tutto da buttare. La parte iniziale in cui la regista lascia allo spettatore la deduzione dello sviluppo della storia, attraverso la scelta di mostrare, inquadrare, più che di usare la recitazione, rende la pellicola avvincente, ma poi le scelte linguistiche, musica, movimenti di macchina, anche il montaggio che non considera troppi elementi della storia, disgregano tutto. Siamo retorici, ma la domanda è sempre quella? Perché questo film è in Concorso? Perché il comitato di selezione con il direttore in testa vogliono dimostrare che coltivano le promesse del cinema, quando invece li mandano allo sbaraglio? Se questo film fosse stato in Orizzonti, qual è la sua collocazione ideale a causa della sua immaturità, sarebbe stato capito di più.
Pema Tseden è più di un figlioccio della Mostra: è un vecchio amico. Al Lido Ha portato Tharlo nel 2015, Jimpa nel 2018, vincitore del premio per la migliore sceneggiatura e Balloon nel 2019, tutti nel concorso di Orizzonti. Quest’anno a pochi mesi della sua scomparsa avvenuta a maggio, approda nel Fuori Concorso con Snow Leopard. In un paesaggio montuoso e rigido tra le montagne del Tibet, un pastore trova nel recinto delle sue pecore un leopardo delle nevi, specie protetta in Cina. Sul posto accorre il fratello, monaco buddhista e alcuni suoi amici che documentano la vicenda per una testata giornalistica. La questione è seria, perché l’uomo non vuole liberare il leopardo in quanto pretende dal governo un risarcimento per l’uccisione da parte dell’animale di nove montani castrati a lui appartenenti. Dall’altro lato, il fratello monaco conosce bene quel leopardo perché nel suo percorso spirituale ha avuto modo di incontrarlo e salvarlo dai predatori. Il film di Tseden si muove su questi due piani, uno più umano, più di comunione, di raccordo tra uomini e animali e uno più di sfida. Il pastore, infatti, sfida le autorità, il governo, le affronta con parole taglienti urlate nel suo dialetto che i gendarmi cinesi non capiscono. Anche lui, però, si deve piegare al gesto di comprensione più importante e calmare il suo livore. In questo sta il valore di questa pellicola, nella rappresentazione con mezzi semplicissimi di una storia universale che ruota attorno alla serena vita di comunità della casa di cui fa parte la famiglia del pastore, compresa del saggio padre, dei giornalisti e del giovane monaco. Si può anche vedere una linea allegorica per cui il leopardo può essere interpretato come l’elemento estraneo alla società e per questo, almeno all’inizio, è condannato, ma forse non era nei pensieri del regista tibetano questa ipotesi; quasi sicuramente ha voluto semplicemente continuare la documentazione, intrapresa con i film precedenti, sulle modalità di vita della comunità tibetana in cui ha vissuto. Snow Leopard pertanto, si vede con piacere narrato in un montaggio che interseca il passato, la formazione del giovane monaco, con il presente il leopardo in gabbia. Ah dimenticavamo, il monaco è chiamato leopardo delle nevi.
Scoperte dal Lido. Un film da scoprire, una possibile scommessa è stato Paradise is Burning, opera prima della regista Mika Gustafson presentato in Orizzonti. Partiamo dalla considerazione finale: nonostante tutto, c’è qualcosa da salvare. Le opere prime sono, per loro natura, inespresse e immature, però nella Gustafoson una prospettiva di crescita è evincibile. La storia ruota attorno a tre sorelle di sei, dodici e sedici, forse, perché non sono specificate le età; sono senza famiglia, reiette e vivono in una comunità di emarginati che si supporta a vicenda. Vivono di espedienti, piccoli furti, non vanno a scuola e passano il tempo, insieme alle loro amiche, nelle ville con piscina degli altri. Ognuna della sorelle, non tanto quella più piccola, è alla ricerca di se stessa e soprattutto la maggiore, Laura, cerca un affetto, un supporto che possa dargli la speranza di non essere privata delle sorelle. Infatti gli assistenti sociali le stanno con il fiato sul collo e lei davvero non sa come comportarsi. La storia è semplice e potrebbe avere molti sviluppi di analisi. Mika Gustafson, invece, si concentra più sullo stile e preferisce girare scene lente, fatte di inquadrature particolareggiate, in assenza di parola che dovrebbero descrivere lo smarrimento delle ragazze. L’effetto sortito, invece, è un altro ossia sfidare l’attenzione di chi guarda. C’è un altro aspetto, inoltre, che proprio non convince: il ritmo. Parti del film sono montate velocemente, scandite da una musica molto ritmata, per poi passare improvvisamente alle sequenze sopra descritte, quindi lente e apparentemente riflessive. Questa asimmetria ritmica appesantisce la visione e porta lo spettatore fuori dallo scopo del film. Come detto, però, in Paradise is Burning c’è qualcosa da salvare. Ci riferiamo alle scene corali, di gruppo, quelle relative ai riti di iniziazione sociale delle ragazze della comunità. Sono riti molto leggeri, niente di drammatico, in cui la macchina da presa si infila nel gruppo e lentamente ne inquadra i visi festanti; questa scelta coinvolge lo spettatore in quell’attimo di felicità. Insomma c’è di buono in questa opera prima; ma la regista deve trovare un suo stile soprattutto quando deve esprimere il dramma e un maggiore equilibrio narrativo e visivo.
Anche questa giornata è terminata. Noi vi aspettiamo domani con la puntata speciale del nostro podcast in diretta dal Lido e poi sabato con l’articolo che chiude la Mostra del Cinema 2023. Poi sarà il tempo dei bilanci, delle recensioni e delle risposte alle vostre mail. A domani!
Crediti fotografici. Foto 1, Photocall, Lubo, director Giorgio Diritti (Credits, Giorgio Zucchiatti, La Biennale di Venezia – foto ASAC) (5) Foto 2, Caterina Murino and director Alberto Barbera (Credits, Giorgio Zucchiatti, La Biennale di Venezia – foto ASAC) (2) Foto 3,4 Holly – official still Foto 5, Xue Bao (Snow Leopard) – official still Foto 6, Paradise brinner (Paradise is burning) – Dilvin Assad and Safita Mossberg (credits HOBAB, Intramovies, Tuffi Films, Toolbox)