Questo articolo è stato pubblicato da questo sito
L’uomo porta da sempre con sé piante e animali durante viaggi e migrazioni, modificando flora e fauna in linea con le proprie esigenze. Ovviamente, con la globalizzazione e la possibilità di raggiungere in poco tempo qualunque angolo del globo, nell’ultimo secolo la diffusione di specie aliene invasive al di fuori del proprio habitat ha subito un’accelerata notevole. E complice il cambiamento climatico, oggi rappresenta uno dei principali rischi per la natura, l’economia, la sicurezza alimentare e la salute umana. Con costi annuali che superano ormai i 423 miliardi di dollari l’anno, più di quanto non facciano i disastri naturali. È quanto hanno concluso gli 86 esperti chiamati a realizzare un rapporto di valutazione delle specie aliene invasive e il loro controllo dall’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes) delle Nazioni Unite.
Il rapporto
La nuova analisi è stata presentata di recente a Bonn, in Germania, di fronte ai 143 stati membri dell’Ipbs, ed è frutto di quattro anni di lavoro da parte di un team di esperti provenienti da 49 nazioni. Nelle sue pagine troviamo tratteggiata, con chiarezza, l’entità di un’autentica invasione che sta mettendo a rischio tutti gli ecosistemi e i biomi del nostro pianeta. 37mila specie aliene sono state introdotte in un ambiente non loro dalle azioni degli esseri umani, e di queste, il 37% è storia degli ultimi 50 anni. E se molte sono specie animali o vegetali tutto sommato innocue, 3.500 delle specie aliene documentate nel rapporto sono catalogate come specie aliene dannose e invasive, capaci di causare danni ingenti, e diretti, all’ambiente, e alla sua capacità di contribuire in modo positivo alla qualità di vita degli esseri umani. Qualche esempio?
Granchi blu, ma non solo
Spulciando tra i case study del rapporto troviamo anche il nostro paese, citato per un animale che è stato tra i protagonisti assoluti, e indesiderati, di questa estate 2023: il granchio blu. Arrivato nel Mediterraneo dall’Oceano Atlantico all’interno delle acque di zavorra delle grandi navi (o almeno, questa sembra l’ipotesi più probabile), questo crostaceo si è diffuso nelle nostre acque grazie alla sua adattabilità e all’aiuto dei cambiamenti climatici, che stanno rendendo il Mediterraneo sempre più ospitale per specie prevenienti dalle zone calde. Lungo le nostre coste il granchio blu sta provocando danni ingenti per allevatori e pescatori di vongole (di cui pare estremamente ghiotto), e si teme che in futuro possa fare anche di peggio, perché l’appetito di questi animali non sembra fare altro che aumentare al crescere della temperatura delle acque in cui si trova a vivere.
Di esempi simili se ne trovano ovunque. La Nypa fruticans in Nigeria, ad esempio, una palma introdotta intenzionalmente all’inizio del secolo scorso per preservare le coste dall’erosione, che oggi però sta spingendo all’estinzione le mangrovie locali. O il granchio reale rosso (Paralithodes camtschaticus), introdotto nelle acque del Mare di Barents dalla Russia sovietica negli anni ‘60 per aumentare gli introiti della pesca lungo le proprie coste, e poi diffusisi in tutta la zona, a danno delle specie locali e delle tecniche di pesca tradizionali dei pescatori norvegesi (che comunque hanno imparato rapidamente a sfruttare la nuova “armata rossa” che avanza nei loro mari). O ancora, i gamberi di fiume americani in Spagna (Procambarus clarkii), la lumaca spagnola (Arion vulgaris) in Svezia, o le ostriche concave (Crassostrea gigas) in Danimarca. Tutte specie invasive che hanno prodotto enormi danni, sia sul piano della biodiversità, che su quello economico.
Estinzioni
Secondo le stime contenute nel rapporto, le specie aliene invasive (quel 6% delle specie vegetali, 22% degli invertebrati, 14% dei vertebrati e 11% dei microbi che una volta introdotti in un nuovo ecosistema hanno buone chance di riprodursi in modo incontrollato) sono uno dei principali motori globali nei processi di estinzione. Negli eventi di estinzione studiati – infatti – le specie aliene invasive hanno rappresentato un fattore di primo piano in circa il 60% dei casi, e nel 16% l’unico responsabile. In totale, il rapporto documenta oltre 1.200 casi di estinzione di animali e vegetali, riconducibili all’attività di appena 218 specie aliene invasive.
Nell’80% dei casi studiati inoltre l’introduzione di specie aliene invasive in un nuovo ambiente ha prodotto effetti negativi anche per l’uomo, principalmente danneggiando l’industria alimentare. E nell’85% dei casi documentati, questo ha danneggiato anche la qualità di vita degli esseri umani. Sia intaccando la sicurezza alimentare o le attività economiche, sia danneggiando direttamente la salute. Un esempio scontato in questo senso è quello di zanzare come le Aedes albopictus (le zanzare tigre arrivate da tempo anche in Italia) e le Aedes aegyptii, che quando espandono il loro areale portano con sé non solo il loro carico di fastidiose punture, ma anche i microbi che queste possono trasmettere, come i virus Zika e West Nile.