sabato, Ottobre 12, 2024

Cara Mostra del Cinema 2023, che edizione sei stata?

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Venezia 80 è nel passato, recente, ma sempre passato. Lasciamo stare i sentimentalismi e parliamo di cose serie, perché, almeno noi, abbiamo necessità di non lasciare che la Mostra 2023 scappi via, ma vogliamo tenerla ancora per mano per dirgli un paio di cose. Tali questioni, inevitabilmente, si intrecciano con il suo direttore, Alberto Barbera, in quanto suo reggente, suo padrone di casa, suo anfitrione per gli ospiti che giungono al Lido, e anche in una visione molto vicina a Mary Shelley (e a Yorgos Lanthimos) suo creatore. Cara Mostra o caro Direttore? Cominciamo con…

Cara Mostra del Cinema. Cara Mostra, la tua edizione numero 80, svoltasi nel 2023 a 91 anni dalla tua fondazione, ci ha un po’ annoiato. Ma non dipende da te. Tu ti sei presentata tirata a lucido nelle tue sedi splendenti, accogliente e disponibile come sempre sei stata nella tua storia, volenterosa di illustrare all’uomo come sta il mondo e come sta il cinema. Questi, però, sono rimasti desideri in potenza. Il cinema che qualcuno, qualche uomo e donna raggruppati intorno al “comitato di selezione”, pardon “di esperti”, come scritto nel catalogo, ha voluto darti non era il migliore e più comprensibile dell’anno. Ti ha fornito il solito cinema visto ormai da troppe stagioni in cui a primeggiare sono le case di produzione, a stelle e strisce, italiane e francesi su tutte, e qualche attore o nome noto, per lasciare il cinema come fonte d’arte e di pensiero a cui tieni tanto, fuori dalla porta. Cara Mostra del Cinema, non è colpa tua se ci hai annoiato, non è nemmeno colpa tua se chi ti dirige, e ti presiede, non è stata in grado di darti una celebrazione degna dei tuoi 90 anni. Sei stata ricordata vagamente in un documentario pieno di personalismi e individualità dal titolo La parte del leone diretto da Baptiste Etchegaray e Giuseppe Bucchi in cui si parla più dell’esperienza degli ospiti che accogli, che di te. Ci dispiace davvero molto per questa manchevolezza nei tuoi confronti. In questa cornice comunque abbiamo salvato qualcosa di quello che è stato Venezia 80.

Cosa noi ricordiamo del cinema di Orizzonti e del Fuori Concorso? Innanzitutto, Orizzonti. Sai, cara Mostra, lo abbiamo detto spesso, anche nel nostro articolo in cui abbiamo presentato l’edizione di quest’anno, che il tuo direttore e il suo comitato d’esperti hanno assemblato il concorso di Orizzonti come una somma di visioni poco definite, di film con pseudospunti sul presente e ben lontani dal concetto di innovazione. Orizzonti è un concorso-non concorso in cui il premio alla regia è dato a un film che regia non ne ha, e anzi si ricorda per un montaggio veloce in alcuni tratti e qualche musica ammiccante a tenere insieme le scene. Ci riferiamo all’opera prima Paradise is Burning di Mika Gustafson. La regista ha bisogno di maturare molto e questo alloro conferito con poco senso, non la aiuterà. Il merito di questa svista comunque non va alla giuria presieduta da Jonas Carpignano, ma a quelli citati sopra che hanno ritenuto valevole presentare questo film nel tuo spazio artistico. Orizzonti, pertanto, è stato in questa tua edizione pieno di incongruenze filmiche, come la presenza di Shinya Tsukamoto con Shadow of Fire che al posto di Orizzonti avrebbe meritato il Concorso considerando che i suoi due precedenti Fires on the PlainKilling a cui è strettamente legato, sono stati presentati in lizza per il Leone d’oro. Come anche Aggro Dr1ft di Harmony Korine, sbattuto Fuori Concorso, quando invece rappresenta davvero un’innovazione, uno sguardo oltre per la cinematografia e quindi sarebbe stato benissimo in Orizzonti. Non parliamo poi del Fuori Concorso che quest’anno, cara Mostra, è assomigliato sempre di più a una sezione in cui inserire quello che non ci stava dalle altre parti. Ci sfugge davvero il criterio di selezione filmica di questa sezione, ma da diversi anni ormai. Qui abbiamo trovato l’ultima opera filmata di Pema Tseden, Snow Leopard, la cui collocazione naturale era, invece, in Orizzonti per l’innocenza e la semplicità con cui racconta la sua storia e senza dimenticarci che tutti gli altri suoi film sono stati visti in questa selezione. Fuori concorso e Orizzonti si sono confermati, dunque, anche in questa edizione 2023 come due sezioni senza criterio e coraggio che accolgono a volte Leoni d’oro come Lav Diaz al quale l’anno scorso con When the Waves Are Gone non è stato concesso il concorso. Forse qualcuno ha paura che nel Concorso possa vincere un altro premio. Cosa ne pensi?

Cosa ci rimane del concorso di Venezia 80? Veniamo al concorso di Venezia 80, quindi. Il palmares di quest’anno finalmente è autorevole, Lanthimos, Garrone, Hamuguchi, Larraín, Holland, anche Sofia Coppola che ha plasmato la sua Priscilla sul volto e i sentimenti di Cailee Spaeny, vincitrice delle Colpa Volpi a cui associamo anche l’altra Coppa Volpi a Peter Sarsgaard che, nonostante, una carriera poco lineare, ha forse trovato da qualche anno la sua strada, tutti questi degni interpreti del cinema contemporaneo.Per questo criterio è stata un’assegnazione degli allori diversa rispetto alle Mostre dirette da Barbera le quali ogni anno dal 2013 circa si sono contraddistinte per aver consacrato con un premio importante qualche scommessa persa in partenza, diciamo più per vezzo e volontà del direttore che per altro. Questo palmares così autorevole, è avvenuto nonostante quest’anno a dirigere il tuo concorso, cara Mostra, c’è stato Damien Chazelle presidente di una giuria finalmente di alta qualità. Non pensare che abbiamo qualcosa contro Chazelle. Il suo cinema non ci fa impazzire per quanto abbiamo apprezzato come film d’ apertura La La Land nella tua edizione del 2016, ma lo reputiamo troppo inesperto di cinema, troppo giovane e troppo incasellato in un gusto di fare cinema molto vicino a Hollywood. Pensa inoltre che non è un caso che quando ci sono stati presidenti di giuria che conoscono molto bene il cinema come Michael Mann (2012), Bertolucci (2013), Alexandre Desplat (2014) e Sam Mendes (2016) il cinema ha prevalso nei lista dei premiati. Tornado a noi, sai qual è il problema del palmares di Venezia 80, cara Mostra? È che era annunciato sin dalla conferenza stampa di presentazione per le tematiche dei temi dei film vincitori, per la loro autorialità e soprattutto perché da registi come Lanthimos, Hamaguchi, Garrone, LarraínHolland, Coppola Michel Franco, sempre loro, e ci mettiamo anche Bertrand BonelloMichael Mann e David Fincher, anche se non premiati, ci si può attendere solo un cinema d’autore non differente da quello che hanno proposto. Erano vincitori annunciati. Infatti, e lo ripetiamo, già nelle nostre cronache dal Lido del giorno 2 avevamo avanzato la vittoria di Poor Things!. Il tema del film, infatti, unito alla messa in scena di Lanthimos erano un’occasione troppo ghiotta per la giuria avrebbero ghiotta.

Sai, inoltre, qual è stato il motivo di una assegnazione dei Leoni d’oro così prevedibile? Il resto della selezione del concorso. E qui torniamo al discorso di prima. Barbera & Co, o solo il direttore, hanno scelto delle pellicole che non meritavano il lustro che gli è stato dato. Ci riferiamo a Comandante, Adagio, Holly, Origin, anche Die theorie von allem tanto osannato da Barbera, la sua scommessa, ma anche Dogman di Luc Besson o Woman of dei registi polacchi o Enea di Castellitto, tutti film ammazzati dalla critica internazionale e anche nostrana. Lo scopo di inserire queste pellicola nel concorso era semplicemente fare numero, aumentare la quota dei film in concorso. E poi scopriamo che Hit Man di Richard Linklater come anche The Caine Mutiny Court-Martial di Friedkin potevano ottenere un posto nel concorso, soprattutto il primo che pare essere stato il miglior film della Mostra, secondo la critica internazionale. Capisci perché, cara Mostra, la tua edizione numero 80 ci ha annoiato? Perché non c’era un’idea che tenesse insieme i film, non c’era un percorso nel cinema, non c’era un’anima cinematografica, né un criterio qualsiasi che tenesse insieme i film nelle sezioni, ma solo una prenotazione da parte delle casa di produzione di un posto al sole o del politicamente corretto a cui tu cara Mostra sembri essere diventata preda, non certo a causa tua.

Ora tocca a lei, caro Direttore. A questo punto della nostra lunga lettera, l’attenzione si sposta, necessariamente sul direttore. Caro direttore Barbera, quanti dubbi abbiamo sollevato sulla sua selezione a fine luglio a cui lei non ha mai risposto. Quanti tweet le abbiamo scritto sui film durante le giornate della Mostra a cui lei non ha dato seguito eppure l’abbiamo vista zelante a rispondere a chi su X le faceva i complimenti o le chiedeva quando si poteva recuperare un film. Secondo lei come è andata questa Mostra numero 80? Pare bene da quello che dice. Lei parla di rinascita del cinema italiano perché ha concesso l’apertura al film di De Angelis, Comandante, e ha proposto altri cinque film italiani nel concorso ufficiale. Il problema è che questi film sono piaciuti solo alla stampa (cartacea, sottolineiamo) italiana, mentre la stampa dal mondo ha massacrato giudicandoli inappropriati per il concorso, tranne Io Capitano, l’unico film italiano con un respiro internazionale. Adesso solo perché sei film usciranno nei cinema italiani si può parlare di rinascita? Se non ricordiamo male al termine di Venezia 79 lei parlava di cinema italiano in crisi e magicamente un anno dopo questa industria si è già ripresa, che miracolo! E poi, se non ci fosse stato lo sciopero degli attori di Hollywood e l’apertura della Mostra fosse rimasta nella mani di Luca Guadagnino con Challengers, lei avrebbe davvero parlato in questi toni trionfalistici del cinema italiano e avrebbe comunque inserito sei film italiani nel concorso? La domanda è legittima, se ci pensa. E poi, caro Barbera, si fregia di aver portato la Mostra a livelli altissimi in questi undici anni di direzione affermando, citiamo a memoria quindi possiamo sbagliare, che ha intessuto dei legami produttivi con molte cinematografie del mondo. Ah sì? E quelle del Nord Europa? Quelle del Medio Oriente a parte l’Iran? E le produzioni africane o quelle sudamericane che tanto ha voluto sostenere? E infine, le cinematografie dell’Asia, dell’Estremo Oriente non danno più film valevoli per la Mostra ormai da anni? Meglio Holly di Fien Troch o Origin di Ann DuVernay che un film di produzione cinese o di Hong Kong o coreano? Che ne dice, caro direttore? Queste cinematografie sono scomparse dalla vetrina della Mostra e il Leone d’oro alla carriera – sacrosanto – a Tony Leung non può essere una consolazione. A proposito di Leoni d’oro alla carriera. Le facciamo un paio di nomi utili per gli anni prossimi nel caso in cui pensasse che questi premi possono essere assegnati anche a registi e attori non italiani, americani e francesi: Hou Hsiao-hsien, Zhang Yimou, Tsai Ming-liang, Jia Zhangke tutti Leoni d’oro che meriterebbero una consacrazione. Ah, aspetti, dimenticavamo sia Love Is a Gun del giovane regista cinese Lee Hong-chi, che forse non ha convinto il suo comitato di esperti ma per fortuna la Settimana della Critica c’ha visto lungo tanto che il film è stato premiato con il Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima, sia How Do You Live (Il ragazzo e l’airone titolo italiano) di Miyazaki. Soprattutto quest’ultimo non sarebbe stato bene in Concorso? Meglio che sia stato il film di apertura del Festival di Toronto. Meglio così, bell’autogol, direttore!

Riprendiamo qui la parola. Al posto dei toni trionfalistici e di un filo di vanagloria che abbiamo, forse (?), notato nelle sue parole non era meglio per Barbera ammettere con un po’ di umiltà che Venezia 80 non è andata proprio così bene? Il compromesso tra cinema di massa e d’autore è la linea che la Mostra ha dalla direzione di Carlo Lizzani nei primi anni Ottanta e lo sguardo sulle cinematografie del mondo c’è dalla sua fondazione, quando questa, in piena era fascista, presentava comunque film sovietici, seppur ideologicamente in contrapposizione, perché l’importante era il cinema. Queste peculiarità di selezione così ampie, al contrario, sono decadute negli ultimi anni e soprattutto in quest’ultima edizione, a vantaggio di una Mostra più di asse “atlantica” che mondiale. Al Festival di Venezia, a nostro parere, inoltre, serve meno facciata e più sostanza. Serve meno attenzione ai red carpet (attenzione, non abbiamo detto che non ci deve più essere), alle facce, ai social o agli ospiti imbarazzanti che calcano il tappeto rosso, e più volontà di sentire il respiro del cinema. Temi come la differenza di genere, la società patriarcale, l’enorme piaga dei migranti, come i debiti della Storia, o l’acredine che l’uomo contemporaneo prova nei confronti dei suoi simili, fino alla sua arroganza verso la Terra sono tutti temi che si sono infilati nella Mostra del Cinema 2023 per i suoi autori, sono espressione singole, non perché il comitato di esperti per bocca del direttore, abbia portato un filo rosso all’attenzione del pubblico. Siamo sempre lì. Venezia 80, come Venezia 79, Venezia 78, Venezia 77, Venezia 76 ecc… sono state Mostre di facciata in cui ha prevalso il nome e non il cinema. La Mostra del Cinema, nella sua 80a edizione e più in generale nella sua vita, merita maggiore attenzione ai suoi scopi artistici e al suo ruolo di diffusione dell’idea di cinema. 

Crediti fotografici.

Foto 2, Photocall, Venezia 80 winners, Yorgos Lanthimos, (Credits Andrea Avezzù – La Biennale di Venezia – Foto ASAC) (1)
Foto 3, Hokage, Shadow of fire, actress Shuri
Foto 4, Award ceremony, Coppa Volpi for best actress, Priscilla, Caille Spaeny (Credits Andrea Avezzù – La Biennale di Venezia – Foto ASAC) (1)
Foto 5,  Hit man, Adria Arjona and Glenn Powell (3)
Foto 6, Pre opening night, Roberto Cicutto e Alberto Barbera (Credits Jacopo Salvi – La Biennale di Venezia – Foto ASAC)
Foto 7, Arrivals – Caterina Murino and ALberto Barbera (Credits Giorgio Zucchiatti – La Biennale di Venezia – Foto ASAC) (1)

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