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Peraltro, di fronte all’aumento dei costi, le grandi piattaforme potrebbero essere costrette a ripensare il proprio modello di business e non si può escludere che, nell’ambito di un radicale cambio di strategia, i loro servizi diventino a pagamento. Ad oggi sappiamo che lo scambio su cui, come è noto, si basa la maggior parte dei servizi digitali (e, cioè, dati personali in cambio di servizi) è considerato vantaggioso dai consumatori. Nei fatti la “moneta” in questione è di grande valore per una piattaforma che sappia sfruttare le combinazioni tra i dati, mentre l’utente finale, all’opposto, attribuisce scarso o nullo valore al proprio dato personale.
A tal proposito, negli ultimi giorni sarà capitato a molti utenti di imbattersi nelle nuove notice pubblicate dai gatekeepers, cui il Dma vieta di tracciare gli utenti a fini di pubblicità mirata al di fuori del servizio principale offerto dalla piattaforma, salvo il loro consenso. Ci pare che all’aumentare dei warning sul fatto che un certo servizio digitale utilizza i dati personali dell’utente, non cambi invece la disponibilità di tale utente a cederli in cambio di un servizio; a risentirne è solamente la user experience, oggi ostacolata da banner e messaggi che vengono accettati senza essere letti.
Un altro aspetto controverso del Dma riguarda un cambio di paradigma significativo nei principi che informano il diritto della concorrenza tradizionale. Solitamente, infatti, mantenere una posizione dominante sul mercato non è illecito di per sé; anzi, sono noti – soprattutto nell’industria digitale, grazie al c.d. network effect – casi in cui la presenza di un soggetto dominante è addirittura vantaggiosa per i consumatori. Pertanto, solo l’abuso di tale posizione viene sanzionato. Il Dma, invece, dispone che alcune condotte siano illecite in quanto tali, a prescindere dalla verifica in concreto degli effetti distorsivi per i consumatori. Si tratta, ancora una volta, di un approccio rigido ai fenomeni che si sviluppano sul mercato.
In conclusione, sebbene sia ovviamente prematuro dare un giudizio completo sul Dma, pare che l’Unione europea abbia scelto la via dei divieti, forzando le grandi piattaforme digitali a ripensare alcuni aspetti dei propri servizi; sono tuttavia assenti gli incentivi, anche monetari, all’industria digitale europea, che oggi non sembra in grado di esprimere un grande player in grado di competere con i colossi internazionali. Residuano dubbi, dunque, in merito alla capacità del Dma di raggiungere l’obiettivo più alto che si prefigge, ossia creare un ecosistema digitale europeo dinamico e contendibile.