giovedì, Ottobre 10, 2024

Covid-19, alcuni geni ereditati dai Neanderthal predispongono allo sviluppo della forma grave

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La probabilità di sviluppare una forma grave di Covid-19 ha a che vedere con molti fattori, dalla concomitanza di altre patologie, all’età, all’indice di massa corporea. Ma anche la genetica gioca un ruolo importante: sarebbero in particolare 3 geni che alcuni di noi hanno ereditato dai Neanderthal ad essere associati a un rischio maggiore di sviluppare la malattia grave. A mostrarlo sono i risultati di uno studio pubblicato su iScience. Risultati che oggi, 14 settembre, sono stati presentati nel corso di un convegno, ospitato dal Presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano che l’hanno condotto.

Lo studio

Il progetto Origin, così è stato battezzato lo studio recentemente pubblicato, a indicare l’obiettivo di investigare l’origine della malattia grave dovuta all’infezione con SARS-CoV-2, ha coinvolto gli abitanti della provincia di Bergamo, che per diversi mesi è stata l’epicentro della pandemia in Italia. Si è trattato di un cosiddetto Genome-Wide Association Study (Gwas), mirato cioè a studiare le possibili variazioni genetiche associate allo sviluppo di una certa malattia, in questo caso appunto la forma grave di Covid-19. Il gruppo di ricerca ha sottoposto un questionario a un totale di 9.733 persone, chiamate a rispondere su base volontaria a domande riguardanti la propria storia clinica e familiare, in riferimento in particolare al Covid-19. All’interno di questo campione sono poi state selezionate un totale di circa 1.200 persone (1.195), che sono state divise equamente in tre gruppi omogenei per fattori di rischio e altre caratteristiche (come sesso, età, livello di esposizione al virus e così via): il gruppo di coloro che hanno sviluppato una forma grave della malattia, quelli che invece hanno sviluppato sintomi lievi o che sono rimasti asintomatici, e, infine, quelli che non hanno mai contratto la malattia.

Reclutare i pazienti che avevano sviluppato la malattia grave – racconta Ariela Benigni, segretario scientifico e coordinatore Ricerche Bergamo e Ranica presso il Mario Negri – è stata la parte più difficile”. Molti infatti sono deceduti proprio a causa della malattia, spiega la ricercatrice, e in ogni caso a sviluppare una sintomatologia grave è solo una percentuale relativamente ristretta della popolazione. Una volta finita la fase di reclutamento, racconta ancora Benigni, i pazienti sono stati invitati a effettuare una visita individuale in modo che i ricercatori potessero raccogliere i campioni di DNA. Questi sono poi stati analizzati mediante un Dna microarray, ossia una tecnologia in grado di leggere centinaia di migliaia di variazioni (chiamate polimorfismi) sull’intero genoma. L’impiego di questa tecnica ha permesso di analizzare per ogni partecipante circa 9 milioni di varianti genetiche e di rilevare la regione del DNA responsabile delle diverse manifestazioni della malattia.

Un’eredità pesante

I risultati dello studio Origin – spiega Marina Noris, responsabile del Centro di genomica umana dell’Istituto Mario Negri e seconda autrice dello studio – dimostrano che chi è stato esposto al virus ed è portatore dell’aplotipo di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave (polmonite), quasi tre volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva e un rischio ancora maggiore di aver bisogno di ventilazione meccanica rispetto ai soggetti che non hanno questo aplotipo”. Con “aplotipo” si intende una certa combinazione di varianti alleliche (ossia variazioni nella sequenza di una specifica zona del genoma umano) che generalmente vengono ereditate insieme.

La suscettibilità allo sviluppo della malattia grave è collegata in particolare alla presenza di tre dei sei geni inclusi in questa regione, che si trova sul cromosoma 3: si tratta dei geni CCR9 e CXCR6, responsabili di richiamare i globuli bianchi e causare infiammazione durante le infezioni, e del gene LZTFL1, che regola lo sviluppo e la funzione delle cellule epiteliali nelle vie respiratorie, condizionando la risposta all’infezione.

La cosa sensazionale – racconta Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto Mario Negri e ultimo autore dello studio – è che 3 dei 6 geni che si associano a questo rischio sono arrivati alla popolazione moderna dai Neanderthal, in particolare dal genoma di Vindija che risale a 50 mila anni fa ed è stato trovato in Croazia”. In passato, prosegue Remuzzi, questi geni forse proteggevano i Neanderthal dalle infezioni, mentre adesso causano “un eccesso di risposta immune che non solo non ci protegge ma ci espone a una malattia più severa. Le vittime del cromosoma di Neanderthal nel mondo sono forse 1 milione e potrebbero essere proprio quelle che, in assenza di altre cause, muoiono per una predisposizione genetica”.

Sono risultati importanti, conclude Guido Bertolaso, Assessore al Welfare di Regione Lombardia, anche per capire chi sono i pazienti fragili: non solo anziani, cardiopatici, ma anche chi ha determinate caratteristiche genetiche.

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