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Le autorità israeliane lo hanno fermato al valico di frontiera con la Giordania di Allenby. “Al controllo dei bagagli e dei documenti, dopo una lunga attesa, è stato ammanettato sotto lo sguardo incredulo del figlio di quattro anni, della moglie nonché di tutti i presenti che erano in attesa di poter riprendere il proprio percorso. Alle richieste di delucidazioni della moglie non è seguita risposta alcuna, piuttosto le sono state sottoposte domande per poi essere allontanata col proprio figlio verso il territorio giordano, senza telefono, senza contanti né contatti, in un paese straniero”, si legge in una lettera firmata dalla madre e dalla moglie di El Qaisi. Quest’ultimo è stato trasferito nel carcere di Petah Tikva, non lontano da Tel Aviv, nella totale assenza di informazioni. Da questo carcere in passato sono arrivate denunce a proposito dei metodi violenti di interrogatorio e degli abusi commessi dalle forze di sicurezza nei confronti dei detenuti.
Come denunciano i familiari e il legale della sua famiglia in Italia, Flavio Albertini Rossi, nei confronti del ricercatore non è stata formulata alcuna accusa e non gli è stata data la possibilità di incontrare il suo avvocato palestinese. Il 7 settembre si è tenuta una prima udienza, che ha confermato la custodia di El Qaisi per altri sette giorni. Il 14 settembre una nuova udienza ha avuto lo stesso esito e i giudici si riuniranno una terza volta il 21 settembre. Nel frattempo Khaled El Qaisi resta in carcere senza conoscere le motivazioni.
Cresce la mobilitazione
Sulla vicenda dell’arresto di Khaled El Qaisi è intervenuta l’organizzazione non governativa Amnesty International. “La sospensione del diritto alla difesa è inaccettabile e costituisce una violazione grave, potenzialmente riconducibile a un crimine internazionale”, si legge in una nota.
Dal governo italiano per ora non è arrivata alcuna parola sulla questione, ma intanto è cresciuta la mobilitazione generale. L’intergruppo parlamentare per la pace tra Palestina e Israele ha chiesto un intervento diplomatico al ministro degli Esteri, Antonio Tajani, mentre il leader di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, ha presentato un’interrogazione parlamentare. Anche l’eurodeputato Massimiliano Smeriglio, del gruppo Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici, ha annunciato la presentazione di un’interrogazione parlamentare a Bruxelles per avere risposte sulla vicenda. E ad alzare la voce è anche la società civile: per il 15 settembre è stata convocata un’assemblea pubblica all’Università La Sapienza di Roma, dove il ricercatore studia. Nei giorni scorsi c’è stato anche un sit in davanti al ministero degli Esteri.
La situazione nelle carceri israeliane
Come ha dichiarato Francesca Antinucci, moglie di Khaled El Qaisi, “questo genere di trattamento gli viene riservato perché è palestinese”. Il timore dei familiari è che la sua detenzione possa essere trasformata da penale in amministrativa, una forma di custodia che avviene in assenza di accuse ufficiali e processo ma solo sulla base di sospetti che la persona possa costituire una minaccia allo stato.
La detenzione amministrativa israeliana è da tempo sotto i riflettori delle organizzazioni che si occupa dei diritti umani, che accusano Tel Aviv di usarla per fare prigionieri politici palestinesi. Amnesty International parla di 5mila prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane, di cui oltre 1.200 in stato di detenzione amministrativa, dunque senza capi d’accusa. Si tratta del numero più alto degli ultimi tre decenni, segno che le autorità israeliane stanno usando il pugno duro nei confronti del popolo palestinese e di chi viene considerato dissidente per le sue idee o le sue azioni. L’arresto senza spiegazioni del ricercatore italo-palestinese Khaled El Qaisi potrebbe essere avvenuto nel contesto di questa nuova ondata repressiva.