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Una cosa che, però, sappiamo, è che gli studi più recenti hanno spesso sminuito l’impatto dei social sul nostro comportamento politico. Risultati che, secondo Braghieri, hanno un problema all’origine: “Questi paper ci dicono che gli effetti dei social, per esempio, nelle elezioni statunitensi del 2020 sono stati quasi trascurabili. Ciò riguarda però il 2020, quando già Facebook aveva drasticamente ridotto il numero di contenuti politici presenti sulla piattaforma. È comunque importante capire cosa sia invece avvenuto nelle elezioni precedenti”.
Il ruolo delle fake news
È innegabile: oggi la circolazione di fake news (almeno nelle forme più rozze) è molto ridotta rispetto a qualche anno fa; così come si è ridotta la visibilità dei network di pagine che sostenevano i movimenti più populisti o l’efficacia, per fare solo un esempio, della “bestia” di Matteo Salvini (senza però sottovalutare la successiva diffusione sui social di movimenti complottisti come QAnon).
Come capire cos’è avvenuto in passato, quando l’attività di propaganda e disinformazione sui social era al suo apice e prima che Facebook decidesse di contrastare attivamente la circolazione incontrollata di fake news e teorie del complotto? “L’esperimento che voglio condurre prende le mosse da una considerazione: negli Stati Uniti, tra il 2004 e il 2006, Facebook è stato accessibile soltanto nei college, dove tra l’altro ha conquistato un successo immediato”, spiega Braghieri, che negli Stati Uniti ha studiato tra Harvard e Stanford. E prosegue: “Considerati i meccanismi che regolano i social, ancora oggi dovremmo vedere differenze nei tassi di penetrazione di Facebook tra le persone che sono andate al college al tempo in cui Facebook è stato introdotto e chi invece non è andato al college. Grazie alle informazioni a cui possiamo accedere negli Stati Uniti, relative al coinvolgimento politico delle persone, il loro anno di nascita, l’istruzione e la presenza su Facebook, possiamo così stimare l’impatto di questo social sull’affluenza, la preferenza politica e le donazioni ai partiti”.
Altri progetti prevedono invece di valutare la propensione degli utenti, se forniti delle informazioni necessarie, a seguire pagine social di maggiore qualità (e così comprendere se le nostre scelte sono legate a un’inerzia passiva o sono invece più deliberate di quanto pensiamo) o valutare il potenziale impatto positivo di pagine social che raccontano gli effetti dei social stessi sulla nostra salute mentale.
Un altro esperimento che potrebbe avere risvolti molto importanti riguarda invece l’impatto sulle capacità cognitive e sul benessere soggettivo di bambini e bambine di età tra i 6 e i 12 anni. “È un esperimento che proveremo a condurre in Danimarca, dividendo i bambini in due gruppi statisticamente omogenei e provando a convincere i genitori di uno dei due gruppi a rimandare di un anno l’acquisto dello smartphone – conclude Braghieri -. Ciò dovrebbe aiutarci a capire, al termine del periodo temporale in considerazione, se nel gruppo che è stato privato dello smartphone ci sono differenze rispetto all’altro, in termini di risultati scolastici e non solo”. Obiettivi ambiziosi ed esperimenti complessi da condurre, ma che potrebbero aiutarci a conoscere, finalmente, la verità sull’impatto dei social network sulla nostra società.