sabato, Ottobre 5, 2024

Giornalismo investigativo, due brutte sentenze

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Dunque, gestire una piattaforma che consente la pubblicazione anonima di informazioni a prescindere dal fatto che siano prova di crimini o atrocità, ma soltanto perché sono segrete, potrebbe implicare da un lato accettare la possibilità di ricevere notizie che non si dovrebbero avere e, dall’altro, incentivare la commissione di reati per procurarsele grazie alla garanzia dell’anonimato, diventando complice con l’autore del fatto. Questa è l’accusa che potrebbero formulare un pubblico ministero molto zelante (o una persona offesa particolarmente motivata e in grado di sopportare i costi di un processo del genere).

Una possibile difesa

Una testata potrebbe difendersi preventivamente selezionando con accuratezza l’importanza della notizia, limitando l’uso dei leak solo a fatti di una gravità tale da rendere evidente che il diritto ad informare non può essere compresso. Questo però significa che, al contrario, tutte le informazioni acquisite dalla fonte in modo illecito e relative a fatti non clamorosamente importanti dovrebbero essere immediatamente distrutte.

Questa linea difensiva non sarebbe semplice da mettere in pratica e, in ogni caso, si tradurrebbe in un pesante limite per l’attività giornalistica. Dunque, spetterebbe a ciascun direttore valutare caso per caso e decidere se rischiare o meno di subire un’azione penale per porre il tema della libertà di informazione alla Corte costituzionale.

Seguire questa strada, tuttavia, non sarebbe desiderabile perché i tempi e le incertezze dei giudizi consentirebbero di arrivare a una soluzione stabile — il cosiddetto “orientamento costante” della giurisprudenza— non prima di qualche decennio. Inoltre, andrebbe considerato che i giudici non sono obbligati a seguire questi “orientamenti” la cui direzione potrebbe essere cambiata senza preavviso. Serve, allora, una legge per il giornalismo investigativo?

Garantire il giornalismo investigativo

È chiaro che se gli orientamenti di queste sentenze dovessero consolidarsi non solo nel nostro Paese ma anche nel resto della UE, basterebbe una sola denuncia impostata in questo modo per mettere a rischio la sopravvivenza stessa di una testata, specie considerando che per i reati più gravi sono previsti la custodia cautelare e l’utilizzo delle intercettazioni.

Che la digitalizzazione della realtà abbia aumentato di ordini di grandezza la facilità con la quale possono essere acquisite e diffuse informazioni destinate a rimanere segrete è un fatto. Così come è un fatto che la diffusione indiscriminata di terabyte di leak viene realizzata senza necessariamente porre attenzione al loro contenuto, rivelando insieme a illeciti anche informazioni “semplicemente” destinate a rimanere segrete. Dunque, potrebbe essere effettivamente necessario stabilire un limite normativo all’utilizzo dei leak (pochi o tanti che siano), stabilendo per esempio la non punibilità della cooperazione attiva del giornalista nella raccolta di informazioni segrete che denunciano reati.

Quale che sia la soluzione, è chiaro che una legge del genere sarebbe molto complessa da strutturare perché esiste il pericolo concreto che da strumento di garanzia si traduca in uno strumento di censura. Se, dunque, si andasse verso questa ipotesi, sarebbe necessario gestirla con estrema attenzione e —politicamente— con una larga maggioranza per raggiungere un equilibrio realmente sostenibile fra tutela dei segreti e diritto a conoscere i fatti del potere.

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