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Dopo un giorno di imponenti attacchi da parte dell’Azerbaijan, sembra che mercoledì 20 settembre la popolazione armena del Nagorno-Karabakh si sia arresa. La minoranza tra le montagne del Caucaso potrebbe presto consegnare le armi, smantellare le istituzioni della loro repubblica (anche conosciuta tra gli armeni come Artsakh) e forse emigrare in massa. Consegnando così al presidente azero Ilham Aliyev una vittoria strategica e politica importante e all’Armenia una umiliazione che rischia di scatenare gli irredentisti.
Non ci fa per ora una bella figura nemmeno la Russia, alleato storico dell’Armenia e teoricamente garante della pace con la sua forza di interposizione in Karabakh, che però è rimasta a guardare impotente l’operazione “antiterrorismo” azera (che ha molti tratti in comune con quella russa in Ucraina) e si è offerta come mediatrice tra armeni e azeri a danno già fatto. Dopo l’intermediazione russa seguiranno trattative che porteranno, con tutta probabilità, alla vittoria di Baku e alla dissoluzione del governo indipendentista.
Come si arrivati allo scontro attuale?
Le radici del conflitto nel Nagorno-Karabakh – il terzo in poco più di trent’anni – affondano in una storia complessa e travagliata. Questa regione povera e impervia, situata all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Azerbaijan, è stata una fonte di controversie fin dai giorni precedenti alla creazione dell’Unione Sovietica.
Le tensioni erano state momentaneamente placate quando Armenia e Azerbaijan erano entrambi passati sotto il controllo della federazione socialista, ma con la dissoluzione della Guerra fredda e del dominio di Mosca sul blocco, le tensioni erano emerse nuovamente. Nel 1991, con il crollo dell’Urss, il Nagorno-Karabakh, con una popolazione prevalentemente armena di circa 100mila persone, dichiarò l’indipendenza, scatenando una serie di pogrom tra armeni e azeri fino al 1994, data del primo armistizio.
Questa fase storica è raccontata, nel suo libro Imperium, del giornalista e scrittore Ryszard Kapuscinski, che ha visitato l’Armenia nel 1990, quando l’Urss era ancora ufficialmente un unico Paese ma il conflitto etnico in Karabakh era già scoppiato da due anni. I sovietici stavano cercando senza successo di reprimere la guerriglia armena e di tenere fuori dal territorio assediato – che poteva essere raggiunto dall’Armenia solo in aereo – giornalisti stranieri come il polacco Kapuscinski. Degli amici armeni trovarono una soluzione: lo travestirono da pilota Aeroflot e, con la collaborazione dei veri piloti dell’aereo (che sono armeni), lo portarono nel Nagorno-Karabakh, dove raccontò di un vasto sistema di racket per estorcere tangenti ai rifugiati.