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Ma era diventata un romanzo anche la vita di Kurt Cobain. La stampa, in questi casi, tende sempre a raccontare una storia. E, all’inizio il romanzo di Kurt era: la band più eccitante nella scena più eccitante del mondo, Seattle. Poi le cose si sono ribaltate, e la trama è diventata: Sid e Nancy sono rinati e sono destinati ad autodistruggersi, con Cobain e la moglie Courtney Love nei panni di Sid Vicious, bassista dei Sex Pistols, e la compagna Nancy Spungen. Così si creò un’immagine che venne dipinta addosso a Cobain, nella quale non si ritrovava più. “Mi sono dovuto guardare dentro e capire cosa la gente vedeva: sembravo triste, depresso, pazzo” raccontava ai tempi ad Azerrad.
Io sono il mio stesso parassita
Che quell’”odio me stesso e voglio morire” fosse uno scherzo o meno, è chiaro come, una volta che Cobain si è tolto la vita, ha acquisito un tono sinistro. Secondo molti i segnali delle volontà di togliersi la vita del leader dei Nirvana erano presenti in molti dei testi dell’album. In particolare ne ha parlato uno psicologo, Thomas Joiner, secondo il quale alcune canzoni facevano emergere “la fusione della morte con temi di nutrimento e vita, a volte in modi crudi e inquietanti“. Milk It è una di questa canzoni, con quelle parole “I am my own parasite“, “io sono il mio stesso parassita”, che combina morte e vita, e racconta immediatamente un disagio. Quelle parole così disturbanti “Her milk is my shit, My shit is her milk“, “Il suo latte è la mia merda, la mia merda è il suo latte“, è un’altra di quelle immagini inquietanti in cui il nutrimento si mescola con la malattia. Così come le parole “umbilical noose“, “cappio ombelicale” di Heart Shaped Box, che è stato il brano scelto per lanciare l’album.