giovedì, Ottobre 10, 2024

L'ossigeno per il covid? Meglio autoprodurlo per non restare senza

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Con le nuove varianti, soprattutto Eris ma anche Pirola, i casi di infetti di Covid-19 sono in aumento: nella settimana tra il 7 e il 13 settembre ci sono stati 30.777 nuovi positivi, in netta progressione rispetto ai 6.188 d’inizio agosto. Sperando che non si torni mai all’emergenza del triennio 2020-2022, è chiaro che gli ospedali devono stare all’erta e prepararsi a un possibile repentino peggioramento della situazione sanitaria. Tra le maggiori criticità affrontate in passato c’è stata anche la difficoltà di reperire l’ossigeno richiesto per curare i pazienti, dovuta non tanto alla disponibilità del gas in sé, che viene trasportato agli ospedali nelle bombole, ma all’interruzione della catena di approvvigionamento causato dall’eccessiva richiesta e la conseguente carenza di bombole.

“Una soluzione per risolvere il problema alla radice è quello di passare al sistema dell’autoproduzione”, spiega Dario Bassino, direttore commerciale di Delta P, azienda di Rosate, centro alle porte di Milano, che offre sul mercato un concentratore di ossigeno chiamato OxGen: il macchinario, scalabile e dimensionato in base al picco richiesto dai posti letto di ogni struttura, utilizza l’aria dell’ambiente e, dopo averla opportunamente filtrata per rimuovere ogni impurità, la fa passare attraverso un “setaccio molecolare”, trattenendo l’azoto che viene rilasciato in atmosfera e producendo così l’ossigeno da utilizzare per i pazienti.

L’ossigeno ricavato dal concentratore ha una purezza pari al 93%: questo prodotto è stato inserito da tempo nella Farmacopea Europea e poi in quella Italiana a fianco al tradizionale ossigeno al 99%, distribuito attraverso bombole o in forma liquida criogenica. Alcuni studi, come quello pubblicato sul British Journal of Anesthesia, indicano che ai fini della cura non ci sarebbero sostanziali differenze tra i due prodotti, rendendo l’ossigeno al 93% valido per la maggior parte dei pazienti. Lo stesso studio afferma anche che l’implementazione dei concentratori negli ospedali europei è consigliata dal possibile risparmio per la collettività.

“Il vantaggio di OxGen”, spiega Bassino, “consiste nel fatto di garantire disponibilità continua di ossigeno ad uso medicale, eliminando rischi di carenze di stock. Produrre l’ossigeno in casa per una struttura ospedaliera vuol dire ottenere un risparmio considerevole, dopo aver ammortizzato l’investimento iniziale in un periodo che a seconda delle dimensioni dell’impianto va dai 2 ai 4 anni, oltre ad abbattere l’impatto ambientale generato dal trasporto su gomma delle bombole, limitando i rischi connessi alla loro movimentazione”. Chi abita a Milano ricorderà infatti l’esplosione di un camion deputato al trasporto bombole di ossigeno avvenuta in pieno centro il maggio scorso, che solo per pura casualità si è conclusa con ingenti danni a edifici e veicoli parcheggiati ma nessuna vittima.

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