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All’ultima voce dello scontrino stampato in cassa, dopo il cappuccino, il caffè lungo, il matcha tea o qualsiasi altra bevanda venga servita dalla sede di Starbucks nell’Arizona State University, c’è segnato uno sconto da un dollaro. È la politica che la catena applica a chi decida di farsi servire da bere in una tazza portata da casa. La caffetteria ha predisposto una lavastoviglie grande poco più di una scatola da scarpe: in pochi istanti igienizza la tazza del cliente, che poi la consegna al barista e attende di ricevere il proprio ordine. Questo incentivo ha un chiaro obiettivo: entro il 2030 Starbucks vuole abbandonare i bicchieri usa e getta, che rappresentano gran parte dei rifiuti complessivi e delle emissioni di gas serra in capo all’azienda.
Iconici, con il logo color smeraldo raffigurante una sirena dai capelli lunghi, i tradizionali bicchieri di carta rivestita sono a lungo stati considerati un vero e proprio accessorio del brand, arrivando a veicolare da soli un messaggio ben chiaro, soprattutto per chi sceglieva di ordinare da asporto e li portava con sé in strada: “Sto bevendo la marca di caffè più riconoscibile al mondo”. Per una generazione intera la “tazza” di Starbucks è stata una vera e propria pietra miliare della società dei consumi, negli Stati Uniti prima e nel mondo poi. Oggi, visto gli elevati standard di sostenibilità che l’azienda si è data, è destinata a scomparire.
Il lato green di Starbucks
Negli anni la multinazionale ha provato a perseguire diversi obiettivi in chiave ambientale. Alcuni sono stati raggiunti, come la certificazione di efficienza energetica per i nuovi negozi, mentre altri sono stati rivisti o eliminati del tutto. Per esempio, nel 2008 l’azienda dichiarò che entro il 2015 avrebbe voluto che il 100% dei suoi bicchieri fossero riciclabili o riutilizzabili, ma oggi è ancora molto lontana da questo traguardo. La spinta a dismettere le tazze in carta viene anche dai clienti, che dalle aziende ormai si aspettano che rappresentino una parte della soluzione al cambiamento climatico, piuttosto che contribuire a causarlo.
Nel negozio dell’Arizona State University, uno delle dozzine di progetti pilota sorti negli Stati Uniti negli ultimi due anni, se i clienti non portano la propria tazza, ne ricevono una di plastica riutilizzabile con il logo Starbucks. Se la restituiscono, ottengono comunque lo sconto di 1 dollaro. Le tazze troppo danneggiate per essere riutilizzate, insieme ai bicchieri usa e getta per le bevande fredde e ad altra plastica trovata nella spazzatura, vengono inviate al Circular Living Lab dell’università. Lì questi rifiuti vengono triturati, fusi ed estrusi in lunghi pezzi simili a legname, che formeranno poi i contenitori per la restituzione delle tazze riutilizzabili, andando a chiudere anche metaforicamente il cerchio del riciclo.
Il buon esempio
Starbucks non è la prima azienda a spingere verso il riutilizzo delle tazze: dalle grandi aziende in Europa, come Recup in Germania, che utilizza bicchieri riutilizzabili e altri imballaggi alimentari, fino alle caffetterie locali un po’ in tutto il mondo, l’obiettivo da anni è quello di eliminare carta e plastica usa e getta. Ma trattandosi della più grande azienda di caffè al mondo, con oltre 37mila negozi in 86 paesi e un fatturato di 32 miliardi di dollari lo scorso anno, potrebbe imporre un cambiamento in tutto il settore. Negli ultimi anni Starbucks ha costantemente aumentato la quantità di materiale riciclato nei suoi bicchieri di carta usa e getta.
In alcuni mercati lo scorso anno l’azienda ha iniziato a utilizzare bicchieri di carta monouso realizzati con il 30% di materiale riciclato, in crescita spetto al 10% di partenza. Il piano è quello di avere tutte le tazze contenenti il 30% di materiale riciclato in tutti i negozi statunitensi a partire dall’inizio del 2025. Entro la fine dell’anno invece Starbucks vorrebbe ridurre del 15% il quantitativo di polietilene nel rivestimento interno delle tazze che le rende resistenti al calore: per fare ciò, squadre di ingegneri stanno esaminano diverse parti del recipiente per capire dove è possibile utilizzare meno materiale senza indebolirne la struttura.