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L’origine della pandemia di Covid 19 è uno dei temi più divisivi degli ultimi 3 anni. E se inizialmente la scienza sembrava saldamente schierata sul fronte dello spillover naturale, negli ultimi mesi le cose stanno cambiando. La reticenza cinese a condividere informazioni sui laboratori di Wuhan, gli scandali – grandi e piccoli – che stanno investendo alcuni degli scienziati che più si sono spesi per far bollare come “fake news” la possibilità di un lab leak, così come le indiscrezioni più recenti che arrivano dall’intelligence americana, hanno restituito credibilità ai timori che nella diffusione di Sars-Cov-2 ci sia, in qualche modo, lo zampino dell’uomo. E con il fronte degli scettici che si fa sempre più bipartisan, le conseguenze non potevano farsi attendere troppo a lungo.
A gennaio, il National Science Advisory Board for Biosecurity americano si è espresso in favore di nuove normative, più stringenti, per le ricerche che rappresentano un potenziale rischio per la biosicurezza. Quali saranno esattamente le nuove norme non è ancora dato saperlo (la riunione si è conclusa senza un testo definitivo), ma è chiaro che andranno a colpire principalmente le cosiddette ricerche gain of function (o Gof), in cui patogeni potenzialmente pericolosi vengono modificati in laboratorio in modo che diventino ancora più virulenti, o capaci di infettare con più facilità un maggior numero di ospiti. Quante se ne fanno nel mondo? Chi le fa, e a che scopo? Un rapporto appena pubblicato dai ricercatori del Center for Security and Emerging Technology della Georgetown University, cerca di rispondere a queste domande, e lancia un avvertimento: regolamentare le ricerche realmente pericolose, senza compromettere studi fondamentali per lo sviluppo di vaccini e terapie salva vita, sarà estremamente difficile.
Un cambio di sensibilità
Che le cose stiano cambiando negli Stati Uniti, lo dicevamo, è piuttosto evidente. Quasi in sordina, ad esempio, nelle scorse settimane è stato affossato uno dei più grandi progetti per lo studio e la prevenzione dei virus zoonotici lanciato dagli Stati Uniti dall’inizio della pandemia: il programma Deep Vzn, che doveva finanziare con 125 milioni di dollari la raccolta e lo studio di nuovi virus animali potenzialmente pericolosi. Un programma non molto diverso da quelli che gli Stati Uniti finanziavano in Cina presso il Wuhan Institute of Virology, e che ora è evidentemente considerato troppo pericoloso: nessuno può smentire la possibilità che Sars-Cov-2 abbia infettato l’uomo durante una delle tante spedizioni effettuate nelle caverne cinesi a caccia di virus dei pipistrelli, e che gli sforzi per prevenire nuove zoonosi – quindi – abbiano finito per creare la più drammatica degli ultimi decenni.
Sullo stesso tenore, anche la decisione del dipartimento della salute americano di bandire per 10 anni l’istituto di Wuhan dall’accesso ai finanziamenti federali statunitensi, motivata – si legge nel memorandum inviato dall’agenzia americana – dal rifiuto dell’istituto cinese di fornire informazioni sui protocolli di biosicurezza utilizzati nelle sue strutture, e dalla violazione di alcuni accordi presi nell’ambito di un grant milionario per lo studio dei coronavirus che infettano i pipistrelli cinesi in cui il Wuhan Institute of Virology figurava come partner scientifico dell’americana EcoHealth Alliance. Il programma di ricerca risaliva al 2016, quando in America era ancora attivo una moratoria sulle ricerche di gain of function su virus influenzali, Mers e Sars. Definire cosa significhi esattamente gain of function non è semplice, e visto che il progetto lavorava su virus che non hanno la capacità di infettare l’uomo la Ecohealth Alliance era riuscita a far approvare la ricerca, con la clausola di dover notificare immediatamente qualunque aumento nella replicazione virale provocato dalle modifiche apportate nei laboratori di Wuhan. Un aumento che, a detta del dipartimento della saluta americano, è puntualmente avvenuto, senza che nessuno lo notificasse. Come è evidente, definire e normare cosa rappresenti una ricerca di gain of function potenzialmente pericolosa non è affatto semplice, ed è per questo che i ricercatori della Georgetown University hanno deciso di realizzare la loro indagine.
Cos’è una ricerca Gof?
Come dicevamo, non è esattamente scritto nella pietra cosa voglia dire gain of function nella ricerca biomedica. Per questo motivo, il report si apre con una definizione di lavoro: una ricerca Gof è intesa dai ricercatori come qualunque modifica di un microorganismo patogeno che aumenti la sua capacità di replicazione, di sopravvivere, di infettare cellule e organismi, di trasmettersi da un ospite ad un altro, di evadere le difese del sistema immunitario o l’azione di farmaci e vaccini. Sul versante opposto (ma altrettanto diffuse), troviamo le ricerca loss of function (Lof), in cui avviene sostanzialmente il contrario: i patogeni vengono modificati per renderli meno capaci di infettare e danneggiare l’organismo.