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Taipei – “Svolta“. Si tratta di un termine che si utilizza molto, forse troppo, in più ambiti. Ma quando si tratta di relazioni tra Stati Uniti e Cina c’è un momento più di altri che merita questo appellativo nella storia degli ultimi anni. Quel momento è il 1° dicembre 2018, giorno dell’arresto in Canada di Meng Wanzhou con l’accusa di frode ed elusione delle sanzioni contro l’Iran. Meng è la figlia del fondatore e amministratore delegato di Huawei, Ren Zhengfei. Se c’è un momento che ha cambiato drasticamente e la postura della Cina nei confronti di Washington e dell’occidente è stato questo. Huawei sembrava in quel momento destinata a conquistare le infrastrutture di rete 5G a livello mondiale, Italia compresa. Con l’arresto di Meng, Pechino capì che Washington non intendeva solo riequilibrare la bilancia commerciale, ma mirava a bloccarne l’ascesa tecnologica.
Altrettanto simbolico, il 25 settembre 2021, giorno in cui Meng è tornata in patria dopo il rilascio da parte delle autorità canadesi. Il suo rientro fu presentato come una prova di forza dal Partito comunista, che raccontò la vicenda come una sorta di scambio di prigionieri coi due cittadini canadesi Michael Spavor e Michael Kovrig, prigionieri in Cina durante la permanenza di Meng ai domiciliari nella sua lussuosa villa di Vancouver. Ancora oggi, la figura di Meng è vista come un simbolo della “resistenza” cinese di fronte ai tentativi di contenimento degli Stati Uniti.
Acquisisce dunque un ulteriore valore simbolico la data scelta da Huawei per comunicare al mondo il suo grande rilancio, cioè il 25 settembre 2023, proprio il secondo anniversario del rientro di Meng in Cina. Dopo che appena un anno fa il fondatore Ren scriveva una lettera in cui segnalava ai dipendenti che era necessaria una lotta per la sopravvivenza, Huawei è tornata presentando peraltro uno smartphone, il Mate 60 Pro, che contiene il chip più avanzato mai prodotto in Cina. Ancora una volta, per i media statali cinesi la “resilienza” di Huawei diventa dunque motivo di orgoglio patriottico.
Huawei, lavoro extra per il boom della domanda
Si è molto discusso, nelle scorse settimane, sul nuovo smartphone targato Huawei. Da parte statunitense, in molti hanno avanzato il sospetto che la realizzazione del nuovo chip sia frutto di un aggiramento delle restrizioni e che dunque contenga in realtà tecnologia americana. La stessa Gina Raimondo, segretaria del Commercio Usa, ha negato l’esistenza di prove in tal senso. Di recente la Semiconductor Industry Association, gruppo di lobby che rappresenta l’azienda di settore statunitense, Huawei starebbe costruendo gli impianti sotto il nome di altre aziende per aggirare le restrizioni. Si discuteva già da qualche tempo della possibilità che l’azienda cinese si rituffi sul settore, ma secondo Bloomberg starebbe in realtà già ricevendo circa 30 miliardi di dollari di finanziamenti statali per riuscire nell’impresa. Huawei avrebbe costruito già due impianti e ne starebbe costruendo altri tre.
Quel che è certo è che Huawei sembra aver superato il suo momento peggiore. Al grande evento di lancio, Huawei ha in gran parte omesso di menzionare il Mate 60 Pro, ma l’azienda di Shenzhen ha dichiarato che la produzione di smartphone verrà aumentata in risposta alla domanda, ha dichiarato il capo della divisione consumer Richard Yu, senza nominare il dispositivo che ha scatenato l’aumento. Ciò che si sa è che Huawei ha dichiarato di “fare ore di lavoro extra” per soddisfare la crescente domanda interna dei suoi smartphone. “Ringraziamo tutti i nostri cittadini per il loro forte sostegno“, ha dichiarato Yu. “Al momento, stiamo lavorando con urgenza per produrre i nostri telefoni per consentire a un maggior numero di utenti di sperimentare i nostri prodotti“, ha aggiunto.