domenica, Ottobre 6, 2024

Long Covid, forse abbiamo sovrastimato la sindrome

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Di long Covid parliamo da tempo, da quando, poco dopo la segnalazione delle prime infezioni del nuovo coronavirus cominciarono a susseguirsi report e studi che parlavano di sintomi che persistevano per settimane e mesi dopo l’infezione acuta. Da allora la mole di studi che si è accumulata sul tema è enorme e sono nati centri e progetti espressamente dedicati allo studio e al trattamento del long Covid. Abbiamo detto che i sintomi correlati possono essere fino a 200, che possono variare a seconda delle varianti che hanno causato l’infezione e che alcuni fattori più di altri possono aumentarne il rischio. Ma forse non abbiamo ancora capito bene che cosa è il long Covid e quanto sia davvero diffuso, forse potremmo addirittura aver sopravvalutato il rischio, generando ansia e sperperando risorse sanitarie. A sostenerlo dalle pagine del BMJ Evidence-Based Medicine è l’analisi di alcuni ricercatori che accende i riflettori sulla ricerca condotta sul long Covid.

Long covid, rischio sopravvalutato?

La tesi di ​Vinay Prasad della University of California di San Francisco e colleghi è che gran parte della ricerca condotta finora sul long Covid, così come le definizioni usate per descrivere gli effetti post infezione acuta, sia stata carente da un punto di vista metodologico o troppo vaghe. Il risultato sono state diagnosi a volte errate probabilmente di long Covid, con una miriade di sintomi magari scambiati per long Covid quando non è detto che lo fossero.

La questione, beninteso, non è negare l’esistenza di strascichi imputabili all’infezione da coronavirus. Piuttosto quella dei ricercatori è un invito a riconsiderare la ricerca condotta nel campo, per fare in modo che i trattamenti siano il più accurati possibili, e che le risorse meglio allocate.

I problemi con la ricerca sul long Covid

Secondo i ricercatori le falle riguardo la ricerca sul long Covid cominciano a partire dalle definizioni che si danno alla sindrome. Citando alcune di quelle di fonti istituzionali- dai Cdc, all’Oms – gli scienziati sottolineano come nessuna di questa implichi un collegamento eziologico con Sars-CoV-2 ma fa piuttosto riferimento alla comparsa di sintomi dopo un’infezione confermata e sospetta. E questo è un altro punto dolente della ricerca nel campo: una buona parte degli studi su long Covid non si è basata su diagnosi confermate in laboratorio di infezioni, neanche con test sierologici. Non solo: a quanto pare solo una piccola percentuale di studi (secondo alcune stime appena del’11%) avrebbe usato gruppi controllo negli studi sul long Covid.

Questo rende piuttosto complicato, se non impossibile stabilire la reale prevalenza e il tipo di sintomi imputabili agli effetti a lungo termine dell’infezione da Covid. I gruppi di controllo, scrivono i ricercatori, sono quanto mai essenziali di fronte a una sindrome dalle definizioni così vaghe e che comprende numerosissimi sintomi, alcuni piuttosto comuni, altri comuni anche ad altri virus respiratori. Ricordiamo infatti che di long Covid si parla quando sono presenti diversi sintomi, più o meno specifici, quali mal di testa, cambiamenti di umore, dolori muscolari, nebbia mentale, difficoltà a concentrarsi, stanchezza, fatica, tosse, disturbi dell’olfatto e del gusto, perdita di appetito, ansia, nausea.

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