martedì, Dicembre 3, 2024

Mango, boom del “made in Italy”. A causa del clima tropicale

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Tra caldo, precipitazioni estreme, inondazioni catastrofiche e altri effetti dei cambiamenti del clima, in Italia la produzione di alcuni frutti è crollata nell’ultimo anno: il 60% in meno per quanto riguarda le ciliegie, il 63% per le pere, il 12% per pomodori e uva. Ma ce n’è uno che, complici le temperature elevatissime recentemente raggiunte, ha fatto registrare un vero e proprio boom nel nostro Paese: il mango. Secondo una rilevazione di Coldiretti, infatti, la coltivazione di questo particolare frutto esotico ha avuto un’impennata, passando dai 500 ettari di terreno nel 2019 agli attuali 1.200. Considerando che nel 2004 erano appena 10, pare evidente come in un decennio il mango si sia ritagliato uno spazio importante all’interno della produzione alimentare “made in Italy”.

Complice un’evoluzione dei gusti dei consumatori, il mango siciliano è diventato oggetto di una forte richiesta da parte dei mercati italiani ed europei: basti pensare che nel 2018 il frutto è anche entrato nel paniere Istat, lo strumento utilizzato per rilevare i prezzi al consumo di beni e servizi e calcolare l’inflazione. Rispetto ai frutti provenienti dai paesi tropicali, che devono affrontare un lungo viaggio via nave o aereo e per questo vengono raccolti ai primi stadi di maturazione con ripercussioni significative sulla qualità del prodotto, i mango italiani sono più apprezzati, anche se di dimensioni più contenute rispetto a quelli delle zone di origine (sono più simili agli agrumi). Affinché la coltivazione vada a buon fine, è necessario soprattutto proteggere le piante dalle basse temperature: ogni anno alcuni impianti sono falcidiati dal freddo e, anche per questo motivo, la diffusione è a macchia di leopardo.

Non solo mango: la rivoluzione tropicale

Come i mango, molti altri frutti tropicali hanno goduto appunto della “tropicalizzazione” delle temperature nel nostro Paese trovando condizioni favorevoli per il proprio sviluppo. La crisi del clima ha modificato radicalmente la mappa delle produzioni agricole, con l’arrivo dei frutti esotici al Sud – tra Sicilia, Calabria e Puglia – e la migrazione degli ulivi fin sulle Alpi a Nord. La Pianura padana si è via via popolata di produzioni tipicamente mediterranee come grano e pomodoro da salsa, con circa la metà dei 70mila ettari coltivati in Italia localizzati proprio al Nord, mentre l’Emilia Romagna è diventata l’hub dell’oro rosso nelle regioni settentrionali.

Sempre più spesso si sperimentano e poi si avviano vere e proprie piantagioni di prodotti originari dell’Asia e dell’America Latina, dai più “comuni” come banane, mango, avocado e lime, a frutti meno noti come l’annona, la feijoa, la casimiroa, lo zapote nero e i litchi. “Gli agrumi sono la nostra tradizione, ma un tempo anche loro erano un’innovazione”, ha detto a Reuters Francesco Bilardi, che gestisce un’azienda agricola con i suoi due fratelli a Reggio Calabria. Producono mango, avocado, frutto della passione e annona dal 2020: “Per noi è normale mantenere le nostre tradizioni aggiungendo qualche innovazione”.

La crisi delle colture di base

Il caldo e l’eccesso di pioggia hanno portato quest’anno anche ad un aumento del 20% della produzione di funghi porcini rispetto al 2022, riferisce Coldiretti. Nel frattempo, alcune delle colture di base del nostro Paese stanno incontrando difficoltà sempre maggiori, compresa l’uva da vino, che sta lottando in tutta Europa contro le conseguenze del cambiamento climatico. Inoltre, le stesse condizioni che hanno causato la proliferazione di funghi porcini hanno consentito anche al fungo Plasmopara viticola di danneggiare la viticoltura in Italia, con la produzione di vino destinata a diminuire del 12%.

Lorenzo Bazzana, coordinatore economico di Coldiretti, ha fatto notare che i frutti esotici restano comunque vulnerabili – similmente ad altre colture come appunto l’uva oppure gli agrumi – ai temporali sempre più frequenti, alle piogge torrenziali e ai lunghi periodi di siccità. “I prodotti tropicali – dice – non sono la bacchetta magica che permette agli agricoltori di produrre senza rischi”.

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