lunedì, Dicembre 2, 2024

Vajont, 60 anni fa avveniva il disastro

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Sono passati 60 anni dal disastro del Vajont, uno degli episodi più tragici della storia italiana: nella sera del 9 ottobre 1963 morirono 1.910 persone in seguito alla frana che ha colpito la diga del Vajont, nel comune di Erto e Casso, in provincia di Pordenone, in Friuli Venezia Giulia, utilizzata per la produzione di energia idroelettrica. A distanza di sessant’anni, la tragedia è ancora una ferita aperta e il ricordo del disastro è rimasto indelebile. In seguito alla frana e all’inondazione, è stata aperta un’indagine e il processo si è concluso con la condanna di un esponente dei vertici della Società adriatica di elettricità (Sade), poi assorbita da Enel e Montedison, e di un ispettore del Genio civile.

  1. La frana
  2. Le cause
  3. Le indagini e il processo

La frana

Intorno alle 22.40 della sera del 9 ottobre 1963, una frana di oltre 270 milioni di metri cubi di roccia si è abbattuta sul bacino artificiale del Vajont a una velocità di 110 chilometri orari. Nel bacino artificiale erano presenti circa 115 milioni di metri cubi d’acqua. L’impatto ha causato un’onda che ha superato i 250 metri di altezza che si è abbattuta sui comuni limitrofi, come Erto e Casso, dove sono morte 158 persone, e si è riversata anche nella valle del Piave. I paesi distrutti sono stati Longarone (dove morirono 1.450 persone), Codissago e Castellavazzo, dove si contarono 109 morti. Molti corpi non furono mai ritrovati. Tra le zone colpite maggiormente dall’inondazione ricordiamo quelle di Frasègn, Le Spesse, Il Cristo, Ceva, Pinada, Marzana, Prada, San Martino, la parte bassa di Erto, Longarone, Villanova, Pirago, Faé, Rivalta, Soverzene, Ponte nelle Alpi, Belluno, Quero Vas Caorera, Borgo Piave. Sono stati rilevati ingenti danni a Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna.

Le cause

Le cause che hanno portato al disastro del Vajont sono molteplici: gli abbondanti rovesci che in quel periodo si erano abbattuti sulla zona hanno causato un’accelerazione della frana presente sul versante settentrionale del monte Toc. Inoltre, le acque presenti nel bacino artificiale avevano superato il limite di 700 metri sopra il livello del mare per il volere di Sade per il collaudo dell’impianto.

Le indagini e il processo

Nei giorni precedenti al disastro tra gli abitanti delle zone successivamente colpite dall’inondazione si era diffuso un certo timore per la condizione idrogeologica del monte Toc. Anche ai vertici della Sade non era sfuggito che la situazione potesse evolversi in tragedia: Alberico Biadene, uno dei dirigenti, infatti, aveva chiesto nella giornata precedente alla frana e all’inondazione di evacuare la zona di Erto e Casso.

Dopo il fatto, è stata aperta un’indagine per accertare se si trattasse di un disastro naturale o se il fosse il risultato di perpetrate negligenze. Il processo che ne è conseguito, durato tra il 1968 e il 1972, si è concluso con la condanna di Alberico Biadene, l’unico a scontare un anno e mezzo di reclusione, e Francesco Sensidoni, di Genio civile. Nel 1997 la corte d’appello di Venezia ha condannato Montedison a risarcire il comune di Longarone, mentre successivamente, Enel ha dovuto risarcire Erto e Casso.

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