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Nel 1951, Baer aveva infatti proposto alla società televisiva per cui lavorava all’epoca di studiare la possibilità di integrare dei giochi all’interno dei televisori, rendendole così interattive. La proposta era stata rifiutata, ma Baer aveva continuato a coltivare quella bizzarra idea, convinto che – a maggior ragione viste le dimensioni nel frattempo raggiunte dal mercato televisivo – il suo progetto fosse valido.
Come proporre a una società elettronica del settore militare di integrare dei videogiochi in una televisione? È probabilmente questa una delle maggiori difficoltà che Baer deve affrontare. Ne ha parlato lui stesso in una vecchia intervista, in cui spiega com’è riuscito a stendere un documento di quattro pagine descrivendo la sua idea e chiedendo ai superiori di sostenere un piccolo progetto di ricerca e sviluppo: “Quello che volevo fare non c’entrava nulla. Come evitare che la Sanders lo rifiutasse subito? A questo scopo, ho provato a far suonare ciò che stavo descrivendo come se c’entrasse qualcosa con ciò a cui stavo lavorando all’epoca. Prima di tutto, non ho mai usato la parola ‘giocattolo’. Però potevo invece parlare di ‘gaming’: questo era infatti un termine che nell’esercito veniva regolarmente usato e poteva quindi far sembrare che il mio progetto fosse nell’ambito dell’azienda”.
Lui stesso riconosce che tutto ciò era una bella forzatura. Ma le cose vanno per il verso giusto e la Sanders accetta di creare un piccolo dipartimento di ricerca e sviluppo dedicato a quelli che ancora per lungo tempo verranno chiamati TV games. Il lavoro inizia nel 1967: con l’aiuto del tecnico Bob Tremblay, Baer costruisce una prima unità chiamata TV Game Unit #1. Il dispositivo era in grado di produrre un punto sullo schermo televisivo che poteva essere manualmente controllato dall’utente.
Un singolo puntino. Eppure il grosso del lavoro è ormai fatto: interagire con la televisione è possibile. A questo punto, Baer e la sua squadra – che nel frattempo si è allargata – iniziano a costruire dei prototipi sempre più sofisticati, mentre anche dalla dirigenza della Sanders arriva supporto e la richiesta di trasformare questi prototipi in un prodotto commerciale. Dopo qualche anno di sperimentazioni, la prima console di videogiochi della storia è pronta, soprannominata “Brown Box”. La licenza commerciale del prodotto viene venduta all’azienda di elettronica, che la distribuisce al pubblico nel 1972 con il nome di Magnavox Odissey. Il grande passo è compiuto: per quanto Baer non sia l’inventore del primissimo videogioco (il titolo va infatti a William Higinbotham, che nel 1958 aveva creato una sorta di pre-Pong) è invece l’inventore della prima console utilizzata a livello commerciale, e quindi responsabile diretto dell’inizio di questa incredibile industria.
Dopo questo primo, cruciale, successo, Baer continua a lavorare allo sviluppo di videogiochi, sia per la Sanders sia in maniera indipendente. Prima di tutto, sviluppa una serie di videogiochi da concedere poi in licenza a terze parti, poi incoraggia la Magnavox a procedere nello sviluppo del “suo” Odissey e infine aiuta un’altra azienda pioniera del settore, la Coleco, a ricevere l’approvazione delle Autorità delle Comunicazioni per la console Telstar, che nel 1976 venderà oltre un milione di esemplari.
Sanders continuerà a lavorare nel settore fino alla scomparsa, lasciando in donazione i suoi prototipi, i suoi appunti e i suoi grafici alla Smithsonian Musem. Che ancora oggi, nella sua ala dedicata all’innovazione, celebra la figura di Baer come del padre dei videogiochi.