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È difficile tracciare la linea di confine che divide il cult dal kitsch, soprattutto in film come questo, dove abbondano scene alquanto improbabili legate a citazioni letterarie. La storia è nota: un attore scespiriano sbeffeggiato dai critici teatrali che non ne comprendono il valore, decide di vendicarsi, riservando a ogni sua vittima un supplizio ripreso da un’opera del Grande Bardo. Il gusto dell’esagerazione, unito all’ostentazione della cultura poetica, crea inevitabilmente una deflagrazione in chiave kitsch.
Il castello dei morti vivi
Il kitsch può avere molte declinazioni. Una di queste è il gusto della sovrabbondanza visiva, dell’opulenza dello sguardo. Una condizione perfettamente assecondata in questo autorevole esempio di horror italiano anni ‘60, dove dapprima si rimane incuriositi dai saloni del castello traboccanti di animali imbalsamati, e poi si resta sconcertati di fronte alle creazioni del conte Drago, che immortala le sue vittime in un attimo fuggente destinato a durare per l’eternità, come statue perenni.
Kiss Meets the Phantom of the Park
Gordon Hessler, il regista de La rossa maschera del terrore, nel 1978 dirige un film per la televisione con protagonisti i Kiss. I componenti del gruppo, che interpretano loro stessi, devono sventare il piano diabolico di uno scienziato pazzo che ha ideato una schiera di pericolosi robot in grado di controllare la mente delle persone. Il risultato è un interessante film al confine tra fantahorror e kitsch tecnologico, dove il termine kitsch si colora soprattutto del significato di eccentricità.