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È proprio questo aspetto che, secondo molti esperti, potrebbe andare contro i diritti fondamentali dei cittadini, a partire da quello alla privacy, e quindi provocare una bocciatura della legge da parte della Corte di Giustizia Europea. Come sempre in questi casi, l’accento viene posto sulla privacy e la nostra libertà di non essere soggetti a sorveglianza. E come sempre, i favorevoli a proposte di questo tipo ribattono che “chi non ha niente da nascondere non ha niente da temere”. Ma è davvero così?
Come ha segnalato l’europarlamentare tedesco Patrick Breyer, già oggi sappiamo come il 40% dei sospettati di possedere materiale CSAM sia minorenne e spesso non consapevole della loro natura criminale. Inoltre, sempre tra i giovanissimi, questi contenuti vengono frequentemente ricevuti da terzi, senza che ci sia nemmeno stata la volontà di ottenerli. Se non bastasse, la ricerca di materiali CSAM da parte di realtà come Meta (che già svolge questa attività di monitoraggio) ha inondato le forze dell’ordine di contenuti che nell’80% dei casi non avevano rilevanza criminale, causando di conseguenza la segnalazione alle forze dell’ordine di persone innocenti.
Per quanto invece riguarda i criminali che ricercano attivamente questo tipo di contenuti osceni, non dovranno fare altro che aggiornare leggermente le loro abilità informatiche e spostarsi su canali di comunicazione decentralizzati, già oggi esistenti e che non possono essere monitorati da alcuna autorità, nemmeno se venisse emesso un mandato. Da una parte, quindi, si sottopongono tutti i cittadini a una (inefficace) sorveglianza di massa e a un controllo delle loro attività online; dall’altra, i criminali possono semplicemente spostarsi altrove.
Tutto ciò, infine, avrebbe un’inevitabile e gravissima conseguenza: la fine della cifratura end-to-end (utilizzata, vale la pena di ricordarlo, non solo da criminali ma anche da dissidenti, attivisti, giornalisti, whistleblower e altri ancora) e quindi della possibilità di comunicare in maniera sicura. “Non esiste una tecnologia in grado di scansionare l’attività online di chiunque fornendo inoltre privacy e sicurezza”, spiegano i responsabili di Proton Mail in un comunicato. L’unico modo per eseguire questi controlli, da parte della società che impiegano la end-to-end encryption, sarebbe quello di distruggere la cifratura delle comunicazioni.
Una volta inserita una backdoor (le porte d’ingresso che permettono di accedere da remoto a un sistema altrimenti protetto), non c’è infatti modo che questa venga riservata soltanto ai “buoni”: i criminali informatici sarebbero sicuramente pronti a sfruttare queste vulnerabilità, rendendoci tutti più esposti ai loro attacchi.
Infine, come sempre avviene in questi casi, il rischio del “tappeto scivoloso” non può essere sottovalutato: perché limitarsi alle oscenità pedopornografiche e non setacciare i dispositivi alla ricerca di minacce e atti criminali di ogni tipo? Non è un pericolo solo teorico: come segnala sempre Breyer, l’Interpol ha già richiesto di poter monitorare contenuti diversi. La proposta europea rischia di aprire le porte alla sorveglianza di massa di cittadini innocenti, trasformati improvvisamente – tutti – in presunti colpevoli.