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È molto facile riconoscere il mondo di Hunger Games in questo prequel ambientato più di 60 anni prima degli eventi raccontati nei 4 film con Jennifer Lawrence. È molto difficile riconoscere tutto quello che aveva reso quella quadrilogia e in particolare il primo film, un modello narrativo dotato di caratteri innovativi all’interno delle strutture dei blockbuster e soprattutto una versione estremamente accattivante e coinvolgente di un’avventura in un mondo distopico nel quale l’immagine di una ragazza riprodotta mediaticamente è l’arma più potente per gestire il consenso. Stavolta seguiamo la formazione del villain, il presidente Snow, che 60 anni prima è un ragazzo in una famiglia una volta ricca e ora in difficoltà, con l’obiettivo di fare carriera per mantenere madre e sorella. Un buono che noi sappiamo diventerà un cattivo.
È il principio di Anakin Skywalker che nella trilogia prequel di Guerre stellari passa da bambino ad adolescente pieno di problemi fino a diventare Darth Vader. Non solo però il presidente Snow non è un cattivo carismatico e problematico quanto Darth Vader (quindi raccontare la sua storia, in sé, non è niente di affascinante) ma soprattutto non possiede il contrasto fondamentale tra grandi potenzialità e futuro oscuro. Quindi la storia è quella di un ragazzo che vorrebbe fare bene ma (sappiamo già) finirà a fare male e non abbiamo nessun tipo di affetto per lui all’inizio del film né possiede un contrasto accattivante. Anzi! Dovrebbe guadagnarsi il nostro interesse ma Tom Blyth non è il tipo di attore in grado di creare da solo quel tipo di vicinanza e la sceneggiatura sembra non tenere conto della cosa. Siamo tenuti ad essere già affezionati a lui.
Una promessa mancata
L’altra metà della storia è Lucy Gray Baird, la ragazza estratta come tributo del distretto 12 (lo stesso che poi sarà di Katniss Everdeen) e affidata a Snow. Ogni rampollo della buona società di Panem infatti gestisce uno dei tributi di questa edizione degli Hunger Games, ne cura l’immagine e prova a farli vincere in qualche maniera. Snow, insieme a questa ragazza che come Katniss buca il video, capirà che la vittoria dei giochi avviene tanto nell’arena quanto in televisione, usando il pubblico e manipolandolo per rendere popolare il proprio tributo e al tempo stesso enfatizzando l’importanza della trasmissione televisiva dei giochi tramite l’uso del linguaggio della tv.
Non mancano i richiami espliciti a Hunger Games (si giocano anche subito il vestito che attira l’attenzione sulla protagonista) e la caratterizzazione grossolana dei tributi ma è chiaro che ciò che il film promette, cioè la scalata al potere di Snow, è in realtà secondario, almeno in tutta la prima parte, rispetto al racconto di come gli Hunger Games sono diventati un evento mediatico molto seguito e popolare. Tutto in un contesto passato che viene retrodatato con tecnologie comunque futuribili ma un po’ più fallaci e dal design dei nostri anni ‘40, una versione abbastanza banale dell’idea di passato rispetto alla saga.