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Le cellule pluripotenti (che hanno cioè la capacità di svilupparsi in qualsiasi tipo di cellula) sono state introdotte in una morula, lo stadio primario di un embrione. Utilizzando un protocollo di coltura ottimizzato, la morula con le cellule esterne è stata convertita in una blastocisti e quindi in una gastrula chimerica. Successivamente, è stata avviata la comune procedura di gestazione dalla quale è nata la scimmia chimerica. Le proteine fluorescenti sono apparse negli occhi e su parte delle dita, confermando il chimerismo anche a livello visivo.
Questo sforzo ha richiesto la coltivazione di nove linee di cellule staminali e l’inseminazione di 206 scimmie. Dodici di loro sono rimaste incinte, producendo solo sei esemplari vivi. Di questi, un maschio si è rivelato sostanzialmente chimerico. Alcuni tessuti del cervello, del cuore, del fegato, dei reni e del tratto gastrointestinale sono nati a partire dalle cellule staminali pluripotenti esterne. Il team ha scoperto che, in media, il 67% delle cellule dei 26 tessuti analizzati, compresi cervello, polmoni e cuore, discendeva dalle staminali del donatore. Il livello più alto di chimerismo è stato osservato nella ghiandola surrenale, dove il 92% delle cellule totali discendeva dal donatore.
Grazie al pigmento fluorescente, i ricercatori in Cina hanno individuato i geni esterni anche nelle gonadi della scimmia. Questo indica che se avesse continuato a svilupparsi, la scimmia avrebbe potuto trasmettere informazioni genetiche chimeriche attraverso il suo sperma.
L’esemplare è stato soppresso a 10 giorni dalla nascita a causa di ipotermia e malattie respiratorie, sollevando questioni di natura etica e a dimostrazione del fatto che la tecnica deve essere migliorata per ottenere una migliore compatibilità dei materiali genetici .
Il potenziale delle chimere
Gran parte della sperimentazione con scimmie chimeriche è finalizzata a misurare e testare ciò che conosciamo sulle staminali e sullo sviluppo di tessuti e organi a partire da queste cellule. Miguel Esteban, coautore spagnolo dello studio, spiega che il nuovo approccio alla coltura di cellule pluripotenti aiuterà a modellare e comprendere le malattie neurodegenerative umane attraverso individui di altre specie.
“Le scimmie chimera potrebbero avere un valore enorme per la conservazione delle specie se potessero essere ottenute da due tipi di primati non umani, uno dei quali a rischio di estinzione“, ha spiegato Esteban.
Questa però non è l’unica promettente applicazione della sperimentazione chimerica. L’approccio potrebbe infatti essere utilizzato anche per unire cellule staminali di esseri umani e scimmie con l’obiettivo di trasformare animali di altre specie in “fabbriche” di organi per i trapianti.
Questo articolo è comparso originariamente su Wired en español.