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I volti del film
Liam Neeson era un nome sconosciuto ai più, era un attore di sicuro valore e talento, ma a cui non era ancora arrivato il giusto ruolo per poter esprimere appieno quel carisma e quella credibilità, di cui Schindler’s List aveva bisogno. Niente divi hollywoodiani, Spielberg, che sul set ebbe momenti molto difficili psicologicamente dato il tema e la rappresentazione da lui stesso scelta, sapeva che avrebbero rischiato di offuscare il resto. L’Oskar Schindler del futuro protagonista di Taken, si muove fin dall’inizio come una sorta di yuppie antesignano, armato di fascino, sensualità, capacità manipolatrice e comunicatività. Affarista senza scrupoli, donnaiolo impenitente, Schindler è uno dei tanti parassiti che approfittano della totale anarchia nella Polonia occupata dai nazisti, per arraffare ogni genere di occasione. Di fatto in lui Spielberg edifica la personificazione di una corruzione persistente, la prova della fragilità insita in quel regime nazista, di cui però ricrea la metallica efficienza. Ralph Fiennes, sex symbol grazie a Strange Days, ingrassò di ben 13 chili per donarci con il suo Amon Göth la miglior rappresentazione di ciò che fu la croce uncinata. Egli è l’umanità più mediocre, fedele ad un sadismo elevato da un credo sado-maso-mortuario, lo stesso di cui scrisse a suo tempo Hannah Arendt. Bisognerà aspettare Bruno Ganz in La Caduta per trovare qualcosa di parimenti terrificante e reale, più credibile e imponente. Ma in Göth non vi è solo fanatismo, egli porta con sé anche il maschilismo di quel tempo, coerente con il totalitarismo come riscatto dei piccoli borghesi privi di qualità ed etica.
Girato completamente o quasi con camere a spalla, anticipando quel dinamismo realistico di rappresentazione che Spielberg avrebbe ripreso anche in Salvate il Soldato Ryan, Schindler’s List ha una struttura narrativa unica, forse la più complessa del cinema di quegli anni. Sostanzialmente Spielberg si cimentò in un effetto a valanga: si parte dalla scalata al successo di un piccolo truffatore, al suo immergersi lentamente in un orrore collettivo, che ha nella sequenza della liquidazione del Ghetto, uno dei momenti di cinema più incredibili mai visti. Lì dentro vi è tutto l’orrore, la brutalità, la vita umana è un filo pronto a spezzarsi per una parola di troppo o una non detta, per il capriccio di carnefici avvolti da un credo che li autoassolve. Spielberg usa primi, primissimi piani, dettagli, che si alternato a carrellate interminabili, movimenti di macchina possenti con cui lo spettatore è letteralmente immerso tanto nella micronarrazione dei vari personaggi, quanto nel monumento ad un crimine immortale. Ed ecco infine, spuntare quella bambina in rosso, che cammina quasi ignara dell’orrore che la circonda. Omaggio a Kurosawa ma non solo, quanto il dito puntato di Spielberg contro l’inattività da parte delle grandi potenze verso la tragedia del suo popolo, prima e durante la guerra. Rimane un simbolo della vita distrutta pari ad un Guernica di Picasso; la bambina la ritroveremo nella terrificante scena della cremazione collettiva, omaggio di Spielberg a Pabst, a cui poi aggiungere l’esaminazione di massa, i bambini strappati alle famiglie, la visita ad Auschwitz.
Chi salva una vita salva il mondo intero
La storia è scritta nel sangue è stato detto e questo film è una lunga lotta della vita per emergere, comunque sia, comunque vada, contro l’incidere di questo motore sanguinolento. Animato da una tensione a tratti insostenibile, ricchissimo di riferimenti alla cultura e religiosità ebraiche, Schindler’s List ha nella redazione della lista tra un meraviglioso Ben Kingsley e Liam Neeson il momento più poetico e assieme più politico. Chi salva una vita salva il mondo intero, questa frase del Talmud è stato Spielberg ad insegnarcela, a mostrarcela mettendo in scena la trasformazione di un Schindler che, da viveur opportunista, diventa infine votato ad una missione da cui uscirà ad un tempo povero e assieme ricco. Negli anni a venire, film come Il Figlio di Saul, La Vita è Bella, Train De Vie, The Reader avrebbero raccolto il testimone di Schindler’s List, ma solo Il Pianista di Roman Polanski è riuscito ad avvicinarsi a ciò che egli, impietoso verso sé stesso prima che con il pubblico, seppe creare trent’anni fa. Dopo di allora Spielberg avrebbe spiccato il volo verso una narrazione maggiormente impegnata, ma non ha più potuto pareggiare ciò che seppe donarci qui, nessun avrebbe potuto. Qui egli ha edificato il suo monumento cinematografico sul bene e sul male, la doppia faccia dell’umanità. E a guardare oggi il mondo in fiamme, lì dove anche i superstiti di Schindler trovarono una nuova casa, c’è solo da dire che questo film rimane inestimabile nel ricordarci che così è stato, così è successo, che la memoria è preziosa perché la dannazione degli uomini è che essi dimenticano.