domenica, Marzo 23, 2025

Estranei – Recensione

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Durante un allarme antincendio nel condominio in cui abita a Londra, Adam scopre di non essere l’unico abitante dello stabile; qualche piano più sopra di lui alloggia Harry, un giovane misterioso che quella sera stessa, ebbro di whisky giapponese, gli bussa alla porta in cerca di compagnia. Adam lo rifiuta, perché non vuole togliere concentrazione al suo progetto di scrittura: sta infatti scrivendo una sceneggiatura che racconta la storia dei suoi genitori, scomparsi quando era adolescente. Non si può, però, porre un muro di fronte alla corsa del destino e quindi Adam è destinato a intessere una storia d’amore profonda e sentita con Harry che lo porta anche a scoprire se stesso. Lo sceneggiatore, infatti, compie parallelamente alla storia d’amore un percorso di riavvicinamento alla sua infanzia fino a visitare la sua vecchia casa dove, con sua grande sorpresa, ritrova i genitori, fermi nel tempo come l’ultima volta in cui li aveva visti trent’anni prima.
L’estraneo chi è? È uno straniero, è una persona che non ha attinenza con il mondo in cui vive e con le persone che lo abitano. Adam, interpretato con grande trasporto e immedesimazione da Andrew Scott, vive in questa condizione, perché è solo, non ha contatti con nessuno; bivacca nella sua casa e da lontano guarda Londra vivere e risplendere delle luci cittadine. La casa dove ha vissuto, è ancora più distante dalla pulsante capitale inglese, è in periferia. Quindi Adam non ha mai avuto, stando a quello che ci racconta il regista di Estranei Andrew Haigh, contatti con qualcuno, è un estraneo nella contemporaneità. Tutto cambia con l’arrivo di Harry, il perfetto bilanciamento emotivo di Scott, interpretato da Paul Mescal. Lui è spericolato, apparentemente sicuro di sé, gli piace vivere e ha una sensibilità che cattura Adam. Le loro vite, quindi, sono destinate a intrecciarsi, completarsi, a divenire un tutt’uno come dimostra il sorriso di felicità che domina la faccia di Andrew, inquadrato dal regista in un dettagliato primissimo piano reso ancora più reale dalla fotografia di Jamie Ramsay e dalla pellicola in 35 mm.
La relazione tra i due è un climax ascendente di emotività; non esplode subito la passione, ma il regista, in perfetta armonia artistica con Scott, è bravo nel calibrare i vari livelli di raggiungimento emotivo del personaggio Adam. Se Harry, al contrario, è sereno e pacifico nell’appropriarsi di questa storia d’amore, il giovane sceneggiatore si lascia andare a poco a poco, non per sfiducia, ma perché per un estraneo, per uno straniero dei sentimenti e dell’amore, sconvolto dalla tragedia famigliare, non è semplice lasciarsi andare. A ben guardare, il processo di acquisizione di questa nuova emotività nasce nel protagonista quando scrivendo sulla carta della sua sceneggiatura torna a quel 1987, digitando queste parole: «Esterno, villetta di periferia, 1987» forse la scena iniziale del film. Adam, così, è costretto a tornare lì, a quel momento esatto e soprattutto a tornare in quel luogo, la casa in cui è cresciuto, in cui il sentimento famigliare si è spezzato e lo ha reso un estraneo del mondo. Il giovane protagonista, infatti, va a far visita alla casa di famiglia e incontra, più per una sua proiezione mentale, suo padre (interpretato da Jamie Bell) e sua madre (Claire Foy) con gli stessi indumenti e fisionomia di quando li ha visti l’ultima volta. Perché Adam ha bisogno di stare con loro? Haigh fa capire attraverso la relazione che si instaura tra figlio e genitori, i dialoghi, i gesti di affetto, i sorrisi, i riguardi e le smorfie serene dei loro volti che il protagonista ha bisogno di chiudere con loro, di confessargli la sua vita, la sua natura, il suo essere più intimo in uno scambio di confidenze che conferma il rapporto indissolubile tra i tre. Mentre quindi, la storia d’amore tra Adam e Harry esplode e si concretizza, il protagonista riacquisisce la sua vita famigliare, fino a quando di fronte alla grandezza e purezza del nuovo rapporto di amore, i genitori scelgono di farsi da parte, scomparire definitivamente dalla sua mente perché hanno compreso che ora l’appoggio emotivo di Adam è Harry. Estranei è, pertanto, un film che parla della riacquisizione della vita di un uomo fuori dal mondo, estraneo a tutto, che prima deve sistemare emotivamente il suo passato, per rimettersi nel presente. È un viaggio nei desideri del protagonista; vicino a Harry, infatti, Adam finalmente balla, ama, sente di essere felice e desidera. Risolve il sospeso con il suo passato, per vivere l’attimo del presente, per aprirsi a qualcun altro senza pensare a un’eventuale delusione. Il titolo in italiano del film, però, è al plurale, Estranei. Quindi l’estraneo non è solo Adam, ma forse anche Harry che a modo suo, per la sua storia personale che confida al suo amato, vive lontano dall’esistenza di oggi, fino a scoprire, sulle note di The Power of Love dei Frankie Goes to Hollywood che l’immaginazione è la realtà. In Estranei, infatti, il fantastico si intesse con il reale, facendo scomparire la linea che li separa. 

Andrew Haigh torna al suo cinema fissato in Weekend e 45 anni, questa volta senza limiti emotivi al suo racconto. C’è intensità, profondità, cuore, mai troppo cervello. C’è istinto, passione, volontà di essere se stessi in questo suo ultimo film, anche se questo significa affidarsi a ciò che si desidera, più che alla tagliente realtà. Estranei, insomma, convince, conquista e ammalia. È un buon film, niente di innovativo e di sensazionale, ma un buon film che si fa guardare e ascoltare, che rapisce senza empatia e immedesimazione, ma attraverso un racconto sincero e umano. Ecco, in Estranei c’è un’umanità vera, palpitante, commuovente e naturale che allontana la finzione e seduce per intensità. 

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