venerdì, Aprile 18, 2025

Lavoro: se lo stress in azienda causa danni, la responsabilità è del datore

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Eliminare la conflittualità tra colleghi è un onere dell’azienda. A sancire questo principio è la Cassazione che, con sei ordinanze emanate tra gennaio e febbraio 2024, ha notevolmente ampliato la responsabilità del datore di lavoro in tema di tutela della salute psicofisica dei lavoratori dipendenti.

Con un orientamento del tutto innovativo, il datore di lavoro è stato considerato inadempiente agli obblighi di tutela dell’integrità psicofisica dei prestatori di lavoro sebbene, nei casi portati all’attenzione dei giudici di legittimità, mancassero del tutto gli estremi del mobbing (definibile, per consolidata giurisprudenza, come una condotta sistematica e protratta nel tempo, che concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell’integrità fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro)

In altre parole, secondo la Corte di Cassazione, il datore di lavoro, a prescindere dal mobbing, può comunque risultare responsabile per aver “omesso di impedire che un ambiente di lavoro stressogeno provocasse un danno alla salute del dipendente“. La giurisprudenza di merito e di legittimità, in precedenza, aveva sostenuto come non fosse configurabile una responsabilità risarcitoria nel caso di conflittualità lavorativa tra colleghi, poiché gli screzi e i conflitti interpersonali nell’ambiente di lavoro escludono la sussistenza di un intento persecutorio da parte del datore di lavoro.

Ed invece, con questo nuovo indirizzo, anche in assenza di condotte manifestamente persecutorie, il datore di lavoro potrebbe quindi  essere ritenuto responsabile per non aver messo in atto misure volte a prevenire e a rimuovere situazioni – nell’ambito dell’organizzazione del lavoro o dell’ambiente lavorativo – idonee a generare una condizione di stress e, quindi, un danno alla salute del prestatore di lavoro.

Aspetto decisivo, inoltre, è che il mancato intervento del datore di lavoro per prevenire e/o per rimuovere situazioni stressogene ne determina la responsabilità anche solo in presenza di colpa: l’eventuale reiterazione dell’inadempimento, così come la presenza e l’intensità del dolo del datore di lavoro, possono, infatti, al massimo incidere sul quantum del risarcimento dovuto al lavoratore.

Questo orientamento giurisprudenziale, è evidente, porta al centro dell’organizzazione del lavoro la salute mentale dei lavoratori, mettendola al riparo da qualsiasi situazione di conflittualità che possa comprometterla.  Quella mentale, d’altronde, rientra nella nozione di salute individuata dalle definizioni del D.Lgs. n. 81/2008 (il Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro).

Si tratta, è evidente, di un nuovo campanello d’allarme per i datori di lavoro, che dovranno dare evidenza di quali misure siano state messe in campo a tutela della salute psicologica dei propri collaboratori, anche tramite canali di segnalazione interna utili a porre in essere tempestivamente ogni azione necessaria per garantire un ambiente di lavoro idoneo. Spetterà, invece, al prestatore di lavoro provare le circostanze fattuali che hanno generato la situazione stressogena, la sussistenza del danno e il nesso causale tra questo e l’ambiente di lavoro.

Il mental well being dei dipendenti sembra diventare, quindi, non solo un tema centrale per l’attrazione di talenti e per la loro retention, ma anche una parte integrante del sistema di prevenzione aziendale previsto dal D.Lgs. n. 81/2008. Sul punto, ci si aspetta anche una particolare attenzione da parte delle organizzazioni sindacali, che probabilmente rivendicheranno nei prossimi rinnovi contrattuali l’inclusione dei servizi di supporto al mental well being dei dipendenti nel novero delle offerte di welfare aziendale

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