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Nelle prime due tavole de La Strada solo un fumo impenetrabile, come la nebulosa di una galassia buia o un nuovo brodo primordiale: qualcuno ha spento il mondo, l’ha bruciato e vuotato di senso, per i sopravvissuti c’è un cammino senza tregua e una meta sola, sud. È arrivato in Italia edito da Coconino Press-Fandango l’atteso graphic novel tratto dal romanzo di Cormac McCarthy, adattato da Manu Larcenet con la traduzione di Emanuelle Caillat. Più di settecentomila copie vendute in diciotto anni, premio Pulitzer per la narrativa nel 2007, ancor prima James Tait Black Prize in Gran Bretagna, l’opera di McCarthy con la sua impetuosa ambientazione dichiarava apertamente tutti i connotati per un rapporto strettissimo con l’immagine. Dopo appena tre anni aveva già avuto il suo omonimo adattamento cinematografico a Hollywood, con Viggo Mortensen protagonista: ora l’opera probabilmente più disturbante dello scrittore di Providence, Rhode Island si traduce in disegno e (centellinate) parole, con un’anima impressionista che l’artista francese ammette di aver assecondato quasi naturalmente.
Tra sporcizia e decomposizione, magrezza e lunghissimi silenzi il fumetto di Larcenet conserva una fedeltà meticolosa all’idea narrativa che l’autore di Meridiano di sangue e Non è un paese per vecchi volle mettere in scena quasi vent’anni fa, a scavare altre profondità e a conferire un’inedita grammatica al filone post-apocalittico e survivalista. Due personaggi, un inevitabile confronto e scontro, da un lato una traboccante purezza infantile da non poter consumare, dall’altro ogni ingenuità e illusione sbriciolate da tantissimo tempo, una comunicazione difficoltosa e scarna, ridotta pelle e ossa proprio come loro, la generazione che ha reso il mondo quel che è e quella che lo eredita. Sulla strada senza fine che pare sempre la stessa, a macinare cambi di scenario ma quasi mai di colore, un figlio, un padre, domande facili e risposte difficili: moriremo? Che faresti se io morissi? Noi siamo ancora i buoni?