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La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha deciso di candidarsi alle elezioni europee come capolista in tutte le circoscrizioni e ha chiesto ai propri elettori di darle la preferenza scrivendo sulla scheda elettorale solo il suo nome, Giorgia, senza il cognome. La possibilità di poter usare il proprio soprannome, o il nome con cui si è più conosciuti, durante le elezioni è prevista dalla legge italiana, ma secondo molti giuristi esperti la scelta della presidente sarebbe una forzatura delle norme che regolano questa opzione.
Elezioni personalizzate
La candidatura di Meloni alle elezioni europee ha portato con sé diverse polemiche, per l’adattamento creativo della legge elettorale alle sue esigenze politiche. La prima polemica riguarda la candidatura stessa, perché Meloni non può essere contemporaneamente presidente del Consiglio o parlamentare in Italia e allo stesso tempo europarlamentare. Quindi è scontato che una volta eletta al Parlamento europeo, rinuncerà alla carica in favore in un altro candidato di Fratelli d’Italia (FdI) che non è stato eletto.
Pertanto la sua elezione e la raccolta delle preferenze a suo nome, strumento necessario per vincere un seggio durante e elezioni europee, diventano un mezzo per accentrare il consenso attorno a sé, come una specie di plebiscito valutativo, che però porterà in parlamento una persona non scelta da elettori ed elettrici. La personalizzazione meloniana di queste elezioni europee è ulteriormente sottolineata dalla sua scelta di farsi votare usando solo il suo nome. Lo scopo è quello di mostrarsi come “una persona del popolo”, come lei stessa ha detto durante il convegno del suo partito, e rafforzare così il suo consenso anche a scapito dei propri alleati.
Cosa dice la legge
La possibilità di dare la preferenza a un candidato o a una candidata scrivendo il soprannome, o il nome con cui sono più conosciuti, sulla scheda elettorale è una pratica diffusa e consentita durante tutte le elezioni in Italia. Questa opzione è regolata da una sentenza del Consiglio di Stato del 2007 e vale anche per le elezioni europee, in base all’articolo 69 del testo unico per l’elezione della Camera. Si tratta di un modo per evitare che l’elettorato sbagli a scrivere un nome sulla scheda, oppure quando una persona è conosciuta prevalentemente tramite un diminutivo del nome o con un soprannome. Il caso più noto è quello di Marco Pannella, ex leader dei Radicali, il cui nome era Giacinto e che sulle liste elettorali era indicato come “Giacinto Pannella detto Marco”, proprio per consentire il ricorso al soprannome per non trarre in errore gli elettori.
L’articolo 69 del testo unico della Camera prevede che “la validità dei voti nella scheda deve essere ammessa ogni qualvolta possa desumersi la volontà effettiva dell’elettore”. La specifica serve a privilegiare la volontà di chi vota, andando quindi a rendere valide le schede dove è chiaro a chi sia stato dato il voto, nonostante non sia stato usato il nome completo. La sentenza del Consiglio di Stato specifica invece come sia possibile usare solo il nome proprio se questa possibilità è stata comunicata preventivamente all’elettorato e se il nome o il soprannome sono riportati correttamente sui manifesti ufficiali. Questa sentenza era stata emessa a seguito di un ricorso verso una candidata che si era presentata semplicemente come “Anna”, perché nelle liste presentate non c’erano altre persone che si chiamavano Anna.
Rischio ricorsi?
In questo caso quindi non potevano esserci errori e nel caso di Pannella l’uso del nome Marco era necessario per evitarli, mentre nel caso di Meloni si tratta di una scelta opportunistica a fini elettorali. Per questo, secondo alcuni giuristi intervistati da Repubblica, ci potrebbe essere spazio per presentare ricorsi contro la sua scelta. Secondo il costituzionalista Gaetano Azzariti “siamo di fronte a un’evidente forzatura delle legge elettorale che parla chiaro: solo il cognome, nome e cognome, se due cognomi anche uno solo dei due, e se c’è confusione tra omonimi la data di nascita”. Ha poi aggiunto: “E se c’è un’altra Giorgia che fanno? Saranno costretta a eliminarla? Vietate tutte le Giorgia dentro Fdi?”.
Critiche sono arrivate anche dall’avvocato amministrativista Gian Luigi Pellegrino, secondo cui l’operazione “non si può fare”, perché “il soprannome non può essere lo stesso del nome”. Infine, secondo il costituzionalista Mauro Volpi “è vero che la legge legittima l’uso di uno pseudonimo o di un diminutivo o al limite del solo nome se il cognome è complicato o difficile scrittura. Ma questo non è il caso di Giorgia Meloni. Nella sostanza c’è una frode agli elettori che deriva dal dire che lei è una di loro, il che corrisponde a una concezione populista e plebiscitaria che punta ad anticipare gli effetti del premierato”.