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Mentre le proteste a sostegno della Palestina vengono sgomberate in molti campus universitari degli Stati Uniti, da New York alla California, con scene di tensione e violenti arresti da parte deella polizia, emerge come molti studenti abbiano deciso di nascondere una cosa molto importante: la loro identità. C’è chi si rifiuta di condividere il suo nome completo e chi copre il proprio viso. E non si tratta di casi isolati. In California gli studenti che guidano uno dei più grandi movimenti di protesta degli ultimi decenni hanno indossato sempre più spesso mascherine e kefiah palestinesi, nel tentativo di proteggere il loro anonimato.
La scelta rappresenta una rottura netta rispetto alle generazioni precedenti di attivisti universitari, che hanno acquisito forza in parte mostrando i loro volti in pubblico e mettendo a repentaglio il loro futuro per una causa più ampia. Nonostante abbiano raccolto attivamente l’eredità del movimento contro la guerra degli anni Sessanta, gli attivisti di oggi sembrano rispondere a una serie molto più contemporanea di rischi personali ed economici che i loro predecessori semplicemente non hanno dovuto affrontare.
Le motivazioni della scelta
Tra le minacce principali citate dagli studenti ci sono il rischio di attacchi online, la possibilità di vedere annullate le offerte di lavoro e le minacce di morte. I manifestanti hanno citato anche il rischio di essere attaccati da gruppi filo-israeliani che li accusano di antisemitismo, pubblicizzati dai media o ripresi in video virali. Le istituzioni temono, però, che il mascheramento stia rendendo più facile per persone estranee ai movimenti accademici infiltrarsi nei campus, un’accusa che la Columbia ha citato martedì 30 aprile per giustificare gli arresti di massa dei manifestanti che avevano occupato la Hamilton Hall a Manhattan.
Altri si sono chiesti se i manifestanti studenteschi stiano cercando di eludere le conseguenze delle loro violazioni, come l’occupazione di edifici accademici. Vari atenei hanno chiesto agli studenti di mostrare il loro volto, inclusa l’Università del North Carolina, dove gli amministratori hanno affermato che la pratica “è contraria alle norme del nostro campus” e alla legge statale progettata per colpire il Ku Klux Klan, un’organizzazione terroristica di suprematisti bianchi che ha agito negli Stati Uniti a più riprese tra Ottocento e Novecento.