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In quanto al capo del Cremlino, sa bene che il pacchetto aumenta i costi associati al mantenimento di quella che chiama “operazione militare speciale”, e si è impegnato per una spesa bellica record del 6 percento del Pil nel 2024. L’economia russa sta attualmente vivendo un’impennata trainata da uno stimolo fiscale di tipo keynesiano (l’impatto della spesa governativa e delle politiche flessibili di bilancio) e dalla sostituzione delle importazioni, che ha spinto la domanda interna.
“L’economia russa somiglia sempre più a un maratoneta che combatte contro l’influenza ma rafforzato dagli steroidi, che lo spingono avanti nella corsa”, scrive il Carnegie Endowment for International Peace di Washington. Occupazione, redditi medio bassi e gettito fiscale stanno beneficiando del boom bellico, riporta il Financial Times, secondo il quale, “per i cittadini russi, la decisione di sostenere la guerra non è più influenzata solo dalla retorica politica e dalla propaganda; è ora guidata anche dal pragmatismo”.
Se questa politica in qualche modo redistributiva sia sostenibile sul medio-lungo termine dipende da una varietà di fattori, come l’impatto delle sanzioni “secondarie” degli Stati Uniti sulle banche cinesi che fanno affari con la Russia, oppure l’adattamento delle catene di transazioni alla nuova realtà. Fatto sta che per ora le finanze della Russia appaiono stabili, l’economia non è completamente dedicata alla guerra e la mobilitazione totale non c’è ancora. Il che significa che il sostegno costante all’Ucraina da parte dell’Occidente rimarrà essenziale per i prossimi anni.
La ricostruzione ucraina
È una questione da quasi 500 miliardo di euro al momento affrontata con formule vaghe, e una retorica finanziaria che in Europa sembra tornare sparagnina: altro che Piani Marshall o “debito” comune in tutta l’Ue. Una specie di coupon, per Washington, è rappresentato da quei circa 5 miliardi di fondi russi congelati negli Stati Uniti, finiti in un disegno di legge separato dove si autorizza il presidente Biden a trasferirli all’Ucraina. Si tratta di una cifra irrisoria per le esigenze di Kyiv, e infatti gli Stati Uniti stanno esercitando pressioni per accaparrarsi il vero malloppo russo, congelato nell’Unione Europea, che ammonta a circa 280 miliardi di dollari.
Ma il punto più controverso di questa situazione è senza dubbio la mancanza di una base legale per l’utilizzo di quei fondi, che secondo numerosi esperti aprirebbe la strada a potenziali dispute con paesi del Sud del mondo (che potrebbero vantare crediti sulla base di attacchi illegali subiti dall’Occidente in passato) e soprattutto indebolirebbe la capacità del mondo euro-atlantico di attrarre investimenti esteri, rafforzando valute alternative.
Se gli Stati Uniti potrebbero, tutto sommato, sopportare le conseguenze pratiche e legali di questo azzardo, dato che la maggior parte del pacchetto è destinata a rifornire la sua industria bellica, l’Unione Europea, già in preda a una crisi industriale e in una delicata posizione energetica, chiaramente non è disposta a farlo. Serve insomma una strategia diplomatica ed economica più ampia, che dopo due anni di guerra possa colmare il divario produttivo tra Russia e Ucraina, fare ammenda per le previsioni sbagliate e soprattutto offrire agli attori in guerra una piattaforma di convivenza credibile.